7 Maggio 2014

Sternhell e il sogno messianico della Grande Israele

Sternhell e il sogno messianico della Grande Israele
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«Ciò che mi preoccupa di più è l’idea di “pace” che oggi permea trasversalmente Israele, una idea diventata senso comune per la maggioranza dell’opinione pubblica. È qualcosa di più e di più grave di una idea di pace a costo zero. È la convinzione che l’unica pace accettabile è la resa incondizionata dei palestinesi». Così Zeev Sternhell sull’Unità del 4 maggio commenta il fatto che in Israele «non vi è alcun segnale che indichi la volontà, oltre che la capacità, di forgiare una maggioranza a sostegno di un accordo equo con i palestinesi». 

Anche la sinistra che avrebbe dovuto essere un fattore propulsivo in questa direzione ha fallito. Questa la spiegazione del grande storico israeliano:«Prima che in politica, la sinistra ha perso la sua battaglia nel campo della cultura, del confronto di visioni. A 68 anni dalla nascita d’Israele, ad affermarsi sembra essere il revisionismo sionista di Jabotinsky, quello che affida a Israele una sorta di ruolo “messianico”, da popolo eletto; una idea per cui a essere centrale è “Eretz Israel”, la sacra Terra d’Israele piuttosto che “Medinat Israel”, lo Stato d’Israele. In questa visione lo Stato non esiste per garantire la democrazia, l’uguaglianza, i diritti umani o anche una vita dignitosa a tutti; esiste per garantire il dominio ebraico sulla Terra di Israele e per assicurarsi che nessuna entità politica supplementare è qui stabilita. Tutto è ritenuto lecito per raggiungere tale fine e nessun prezzo è considerato troppo elevato. Ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con la “modernità”. Inesorabilmente Israele si sta trasformando sempre più in una entità anacronistica».

E sulle colonie: «Gli insediamenti realizzati dopo la guerra del ’67 oltre la Linea verde rappresentano la più grande catastrofe nella storia del sionismo, e questo perché hanno creato una situazione coloniale, proprio quello che il sionismo voleva evitare. Da questo punto di vista, per come è stata interpretata e per ciò che ha innescato, la Guerra dei Sei giorni è in rottura e non in continuazione con la Guerra del ’48. Quest’ultima fondò lo Stato d’Israele, quella del ’67 si trasformò, soprattutto per la destra ma non solo per essa, da risposta di difesa ad un segno “divino” di una missione superiore da compiere: quella di edificare la Grande Israele».

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