10 Marzo 2022

Ucraina: fallisce il primo negoziato. La guerra va avanti

Ucraina: fallisce il primo negoziato. La guerra va avanti
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Nessun passo avanti nei colloqui tra il ministro degli Esteri ucraino  e quello russo ad Antalya. La guerra continua. Cosa sta avvenendo è riassunto nell’incipit di un articolo di Timesofisrael: “Israele crede che l’Ucraina sia a un bivio critico e debba decidere tra l’offerta di tregua ‘difficile’ presentata dalla Russia o rischiare una nuova fase molto più distruttiva della guerra”,

La tregua è difficile, ma non è ancora impossibile, dal momento che, come accenna lo stesso articolo, le richieste russe si sono “ammorbidite” e Zelensky ha dichiarato alla Abc di essersi “raffreddato” riguardo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato”.

E, però, non è ancora all’orizzonte. A impedire tale compromesso due fattori. Anzitutto la determinazione russa a ottenere qualcosa. Dopo aver iniziato questa sciagurata invasione non può semplicemente ritirarsi. Le sue richieste sono chiare dall’inizio: chiede garanzie certe sulla neutralità del Paese confinante e sulle regioni filo-russe del Donbass e sulla Crimea.

L’America, che poi è il vero interlocutore della Russia, dato che la Nato è solo un’appendice dell’apparato militare statunitense, già prima dell’invasione aveva accettato il dialogo sulla Sicurezza globale, ma rigettando in toto l’idea di un’Ucraina neutrale, posizione rimasta immutata.

Nonostante le pose da guerriero indomito, Zelensky ha avuto modo di aprirsi, seppur timidamente, all’ipotesi della neutralità del suo Paese in due occasioni: dopo due giorni dall’inizio della guerra e nella recente intervista alla Abc.

Il punto è che non è una monade: deve fare i conti con pressioni esterne e interne. Queste ultime vengono dall’ala oltranzista, cioè da quei settori nazionalisti che propugnano una lotta continua con la Russia, determinazione diventata ancor più irriducibile dopo l’aggressione russa.

Zelensky ha dovuto fare i conti fin dall’inizio della sua presidenza con tale ambito. Di interesse, sotto questo punto di vista, l’intervista rilasciata da Dmytri Yarosh, fondatore di Pravy Sektor (Settore destro), all’Obozrevatel subito dopo le sua vittoria alle elezioni, vinte grazie a una campagna basata sulla denuncia della corruzione del Paese e sulla necessità di un accordo di pace con la Russia, delineato con gli accordi di Minsk (che hanno posto alla prima guerra ucraina del 2014).

Nell’intervista al giornale ucraino,  Yarosh, che nel 2015 è diventato “consigliere del Capo di stato maggiore dell’esercito, Viktor Muzhenko, con funzioni di collegamento tra i militari e il battaglioni di volontari” (BBC), spiegava che gli accordi di Minsk rappresentavano la “morte” per il suo Paese, e che essi potevano essere buoni solo come “spazio di manovra” per continuare la lotta contro i russi.

Quanto a Zelensky, se veramente avesse perseguito una politica di un accordo con i russi, “avrebbe perso la vita. Sarà appeso a qualche albero di Khreshchatyk, se tradirà l’Ucraina e quelle persone che sono morte durante la Rivoluzione e la Guerra”.

“Yarosh si definisce un seguace di Stepan Bandera”, riferiva sempre la BBC, quel Bandera diventato faro del nazionalismo ucraino e che Haaretz presentava così: “In Ucraina, centinaia di persone marciano con le torce in un omaggio annuale al collaboratore nazista”. “Durante la seconda guerra mondiale, Stepan Bandera guidò l’esercito ribelle ucraino, i cui uomini uccisero migliaia di ebrei e polacchi”.

Sono cose del passato ormai, dilavate dopo l’inaccettabile invasione russa, che ha mandato fuori registro certe distinzioni – che pure stanno -, ma che vanno tenute presenti per capire i margini di manovra a disposizione di Zelensky.

Anche se in via teorica si convincesse che continuare questa guerra è assurdo, avrebbe difficoltà a cercare compromessi, soprattutto ora che le devastazioni, i morti e il dolore hanno accresciuto l’odio verso il nemico e polarizzato le posizioni, peraltro rafforzando il nazionalismo interno, come scriveva Sam Sokol su Haaretz.

Non solo le pulsioni interne. Zelensky si ritrova suo malgrado al centro del proscenio internazionale e ne subisce le pressioni del caso. E se parte del mondo sta cercando un’impossibile soluzione a questa crisi (vedi mediazione israeliana e turca, o la linea aperta di Macron), altri, invece, l’hanno accolta come un’occasione per un redde rationem decisivo contro la Russia e Putin.

Tanti, americani e non, hanno infatti evocato la possibilità di fare dell’Ucraina un nuovo Afghanistan (Abc). Tale opzione è stata delineata anche dall’ex Segretario di Stato Hillary Clinton, che ha dettagliato come “un’insurrezione molto motivata, poi finanziata e armata ha praticamente cacciato i russi dall’Afghanistan” e ha fatto collassare l’Unione sovietica. Praticamente quel che sta accadendo in Ucraina.

Non è detto che tale opzione abbia successo, dal momento che da allora le cose sono cambiate molto (oggi c’è la Cina…) e incombe il rischio di terza guerra mondiale. Ma è certo che prolungherà per decenni il conflitto in corso – in linea con le guerre infinite  – e porterà sofferenze in crescendo, per un obiettivo geopolitico altro da quello della libertà dell’Ucraina, destinata a soccombere nonostante gli aiuti militari dell’Occidente. Ne scrive David  Hendrickson sul National Interest, in un articolo del quale riportiamo un passaggio.

“Tutti dicono che la cosa più importante a cui pensare è come ferire i russi. Non sono d’accordo. Oltre a pensare a come evitare una calamità finanziaria per gli Stati Uniti e il mondo [contraccolpo delle sanzioni contro la Russia ndr.], dobbiamo pensare a come evitare un disastro umanitario per gli ucraini”.

“Il nostro fervente desiderio dovrebbe essere quello di mantenere un numero basso di vittime piuttosto che un numero oscenamente alto. Non abbiamo idea di quanto possa peggiorare, ma in passato è peggiorato in molti posti. Se lo farà anche qui dipenderà in parte dalla volontà del mondo esterno di combattere fino all’ultimo ucraino. La reazione umana più comprensibile al mondo è fare della vendetta l’unica cosa che conta, ma dovremmo anche considerare il danno collaterale”.

Il premier israeliano Naftali Bennett ha in qualche modo aperto la strada alla prospettiva di un negoziato vero tra Russia e Ucraina. Nonostante l’odio che può suscitare questa invasione, nonostante le efferatezze proprie di tutte le guerre, occorre conservare la lucidità di proseguire su questa via (oggi l’ex  cancelliere tedesco Gerhard Schröder è a Mosca per incontrare Putin: un passo per un incontro con Angela Merkel?).

Ci permettiamo, a tale proposito, di concludere riportando alcuni cenni di Giampiero Mughini per Dagospia: “A parte che il trovare un compromesso non vedo come altrimenti si possa arrestare il bagno di sangue in Ucraina, la prolungata agonia di una guerra che il gigante sovietico non può non vincere”.

” […] Un compromesso che faccia tacere le armi. Non c’è altra soluzione, non c’è altro stop possibile a questa tragedia. E penso che sia una fesseria quella di chi dice che appena Putin avrà ottenuto qualcosa dalla sua invasione dell’Ucraina, subito si metterà a preparare un’altra mazzata contro qualcun altro degli Stati con cui l’Urss confina [altrove c’è la Nato ndr.]. Noi ci dobbiamo convivere con l’Urss com’è oggi. Non c’è altra via di scampo. Dio santo, non c’è”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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