15 Maggio 2018

La mattanza di Gaza e l'ambasciata Usa

La mattanza di Gaza e l'ambasciata Usa
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Oltre cinquanta morti e 2500 feriti (per ora) tra i palestinesi che ieri hanno manifestato ai confini di Gaza. Una mattanza. Che avveniva mentre a Gerusalemme si inaugurava la nuova ambasciata americana, spostata da Tel Aviv per decisione di Trump.

Un’iniziativa che gli esponenti degli Stati Uniti presenti hanno salutato come apportatrice di pace. Sul tragico contrasto tra queste affermazioni e quanto avveniva ai confini israeliani ironizza amaramente Dana Milibank, editorialista del Washington Post.

Parole di pace e la strage di Gaza

Non è l’unico. Ma il commento più significativo di quanto accaduto ci sembra quello di Chemi Shalev su Haaretz.

In esergo, una frase di Charles Dickens, che val la pena riportare per la sua puntualità: “Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l’epoca della fede e l’epoca dell’incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l’inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi.”

“Più le vittime a Gaza salivano, più le persone riunite presso la nuova ambasciata americana a Gerusalemme apparivano arroganti, distaccate e prive di compassione”, scrive Shalev.

E più cresceva il numero della vittime, “più l’affermazione che la mossa dell’ambasciata potesse effettivamente contribuire a raggiungere la pace suonava cinica e ridicola”.

“Il colpo del knockout per l’immagine di Israele”, continua il cronista, “era parte della sceneggiatura. Quando un esercito moderno, sofisticato e armato fino ai denti affronta masse armate solo di aquiloni e pietre, la debacle della propaganda è inevitabile”.

E “mentre gli israeliani dicevano di avere a che fare con un’organizzazione terroristica insensibile alle vite del proprio popolo […], l’opinione pubblica internazionale poteva vedere solo il forte contro il debole, l’occupante contro gli occupati, un Stato senza cuore che affronta la disperazione”.

Il messianismo, nuovo collante tra Usa e Israele

Quindi, dopo aver accennato al disinteresse ormai palese per l’opinione pubblica internazionale da parte del governo israeliano,  Shalev afferma che ieri è stato evidente che tra Usa e Israele si è instaurato un rapporto nuovo e diverso rispetto al passato.

La presenza di esponenti di pastori leader di movimenti evangelici estremi, la percezione da parte israeliana che Trump rappresenta “la salvezza di Israele” indica che il rapporto tra i due Paesi è ormai dominato da “elementi fondamentalisti e messianici”.

“Per la maggior parte degli ebrei americani”, commenta Shalev, “specialmente per quelli che continuano a sostenere Israele, la cerimonia non è stata nulla di meno di un pugno nello stomaco”. Ed ha “evidenziato il crescente scisma tra Israele e la più importante diaspora ebraica”.

Ciò non disturba Netanyahu, prosegue Shalev, che sta acquisendo un sostegno popolare “senza precedenti” grazie ai successi che sta conseguendo il Paese sotto la sua guida: “dalla decisione di Trump di abbandonare l’accordo nucleare iraniano fino alla vittoria della cantante Netta Barzilai all’Eurovision di sabato scorso”.

Conclude Shalev: “Gli israeliani si rallegrano del fatto che i palestinesi restino disperati. Solo il tempo dirà, come dice il cliché, se il ‘giorno storico’ così gioiosamente annunciato a Gerusalemme questo lunedì annuncia l’arrivo di una stagione di speranza o l’inverno della disperazione, o, come solo in Medio Oriente può accadere, di ambedue”.

Poco da aggiungere se non che, il numero dei feriti deve essere letto alla luce di quanto scritto in altro articolo di Haaretz, ripreso dal nostro sito con il titolo: “Manifestazioni Gaza: i cecchini israeliani hanno usato proiettili speciali”.

Infine, lo schieramento di cecchini per contrastare una manifestazione stride con il numero di morti. Si tratta di soldati scelti, che sanno come sparare e colpire i bersagli, cosa facilitata, nel caso specifico, dal fatto che si tratta di bersagli in campo aperto.

Tale discrasia va letta alla luce di quanto scritto dalla ong israeliana B’Tselem in analoga occasione: “In linea con le istruzioni impartite dalla leadership politica, la preparazione da parte degli alti gradi militari non si è concentrata sul tentativo di minimizzare il numero di vittime. Al contrario…”

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