6 Maggio 2016

Trump, Clinton e la confusione globale

Trump, Clinton e la confusione globale
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Stati Uniti: si va alla sfida Clinton-Trump. Pochi all’inizio di questa corsa avrebbero scommesso sul più improbabile dei candidati, ovvero un tycoon buono al massimo per le presidenziali di qualche Paese africano. Primi fra tutti i notabili del Grand Old Party, che pure lo hanno dovuto subire come proprio candidato e hanno visto sfumare tutti i tentativi di frenare la sua inarrestabile marcia a scapito dei cavalli della scuderia di casa.

 

Anche l’ultima ipotesi alternativa, che consisteva nel farlo arrivare alla Convention repubblicana senza i voti necessari alla nomination per poi scegliere un altro candidato, è stata spazzata via: l’improbabile Ted Cruz e l’ancora più improbabile John Kasich non sono riusciti a drenare abbastanza voti al loro avversario, che ormai era prossimo a raggiungere il quorum necessario all’investitura diretta. Inevitabile quindi il ritiro dei due.

 

Un ritiro vissuto dal mondo intero come una sconfitta, perché spiana la strada a un candidato più che controverso. Mentre c’è da tirare un (primo) sospiro di sollievo per aver risparmiato alla Casa Bianca un presidente come il crociato bellicista Cruz, al cui confronto Trump è uno statista moderato.

 

Il fatto che l’unica vera arma che il Grand Old Party ha saputo contrapporre al bizzarro miliardario sia stato un crociato evangelico la dice lunga sullo stato di salute di quello che fu il partito di Abraham Lincon. Una notazione che fa apparire meno sorprendente l’affermazione del controverso tycoon newyorkese.

 

La sconfitta di Cruz dà un’altra indicazione: per la prima volta, da anni, il fattore religioso non è fondamentale nella lotta politica americana. Non che non abbia sempre avuto il suo peso, God bless America è la chiosa usuale di ispirati discorsi presidenziali, ma negli ultimi decenni aveva assurto dimensioni parossistiche.

 

Un fenomeno collegato soprattutto alla deriva del Gop, che dall’epoca del cristiano rinato George W. Bush fino all’insorgenza del movimento “ultras” del Tea Party, è diventato prigioniero delle sette evangeliche più fondamentaliste, in combinato disposto con le follie esoteriche degli influenti circoli neoconservatori.

 

Si va quindi a una sfida dove, per fortuna del mondo, il fattore religioso conterà poco o nulla: laici sono i due candidati e laiche le loro proposte all’elettorato americano, anche se i neocon continueranno a esercitare la loro nefasta influenza. Questi ultimi ad oggi pare preferiscano la Clinton, ma cercheranno di far valere anche con Trump l’enorme potere cumulato in questi anni, sia all’interno dell’apparato militare-industriale che nell’ambito finanziario.

 

Con questi due candidati si prospetta una votazione tutta particolare. Ci saranno i repubblicani che voteranno Clinton, mentre è possibile che alcuni sostenitori del socialdemocratico Sanders possano essere tentati dal suo antagonista, anche lui, a suo modo, un anti-sistema (anche se in realtà, e contrariamente all’accusa mossa a Sanders, egli non è un populista anti-sistema, ma vede necessaria una sua correzione).

 

Hillary Clinton potrebbe evitare facilmente l’insidia, accettando un compromesso con Sanders. Ma resiste, perché rischierebbe di perdere l’appoggio dei poteri forti sui quali conta per vincere e per i quali sta spendendo la sua candidatura.

 

Ma ancora è presto. Si vedrà se le cose cambieranno con il voto in California, Stato che da sempre ha un peso notevole in queste competizione e sul quale Sanders punta molte delle residue chanches di influenza postuma sul partito (anche in caso di sconfitta).

 

Detto questo, la possibilità di voti incrociati, repubblicani che votano Clinton e democratici che votano Trump (più difficile), dà l’idea della confusione che abita l’ambito politico americano.

La confusione planetaria si riflette nel cuore della potenza globale. Non è un bella prospettiva per il mondo.

 

 

 

 

 

 

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