10 Ottobre 2016

Usa: il "sessista" è ancora vivo

Usa: il "sessista" è ancora vivo
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A trenta giorni dalle elezioni americane Donald Trump è ancora vivo. Questo, in sintesi, l’esito della durissima battaglia che per tre giorni ha imperversato negli Stati Uniti allo scopo di farlo fuori dalla corsa elettorale.

 

Tutto inizia con un video più che sgradevole – “sessista” com’è stato definito per esaltare la battaglia femminista della Clinton -, i cui contenuti volgari sono alquanto noti. Che risalisse a undici anni fa, ovvero al 2005, è particolare sul quale non si è indugiato molto, ma che invece fa capire il modo sistematico con il quale si sta procedendo per cercare di distruggere l’uomo. Undici anni sono una vita. Vero, è cosa usuale nelle competizioni elettorali americane, ma stavolta sembra “più usuale” del solito.

 

Certo, Donald in questi anni non sembra esser cambiato più di tanto, ma è sicuro che se si fosse trovata una pietra d’inciampo più recente, sotto il profilo “sessista” si intende ché altre magagne son state rinvenute, sarebbe stata usata con effetti ancora più devastanti.

 

Ma al di là del particolare, si parva licet componere magnis, lo scandalo che rischia di travolgere il Trumpone ricorda la vicenda dei bunga bunga nostrani, allorquando il Trump de’ noantri è stato sottoposto ad analogo linciaggio mediatico.

 

Identico appare anche il moto di disgusto che certe rivelazioni di licenze private hanno suscitato nell’opinione pubblica. D’altronde, anche se le vicende e i personaggi non sono sovrapponibili, anche a Berlusconi, come a Trump, certo mondo non ha mai perdonato i suoi legami con Vladimir Putin.

 

Non si tratta di giustificare alcunché, ma solo di registrare un dato e un modo di “trattare” la politica: John F. Kennedy fu (ed è) giudicato in base alle sue idee politiche, e alla leggenda suscitata dalla sua morte cruenta, più che per i bunga bunga sui quali pure indugiava. Tant’è, il mondo è cambiato, e il moralismo, che è l’opposto della morale, ormai è al potere. E occorre farsene una ragione.

 

Resta che le rivelazioni avrebbero dovuto distruggere Trump. Indebolito non solo dal suo bullismo suicida, il tycoon ha subìto la rivolta interna dei notabili del suo partito che hanno colto l’occasione per tentare di disarcionare un candidato non grato: lunghissima la lista di esponenti del Gop che ne hanno chiesto la testa e la sostituzione con altro candidato (scelta peraltro sicuramente perdente contro l’avversaria democratica a questo punto della corsa).

 

Il dibattito Tv di ieri avrebbe dovuto fare il resto: obbligato sulla difensiva, nelle intenzioni dei suoi avversari (interni ed esterni), Trump avrebbe dovuto soccombere facilmente. Anzi essere sotterrato dalla vis femminista della sua avversaria.

 

Non è andata così. Nonostante l’evidente difficoltà, il candidato repubblicano ha tenuto testa, ribattuto. La Clinton ha vinto, certo, ma non ha trionfato.

 

Ed è una brutta notizia per i democratici e l’ampio ambito che sostiene la sua candidatura. L’accelerazione di questi giorni, infatti, mirava a chiudere la partita prima dell’uscita di altre rivelazioni che potrebbero svelare altri retroscena sulla loro prediletta.

 

Solo una settimana fa Julian Assange, l’uomo che la Clinton voleva uccidere con un drone (cosa che dovrebbe suscitare più scandalo delle licenze sessiste del suo avversario), ne ha promesso di nuove. Con Trump fuori dai giochi avrebbero avuto poca eco. Con il Tycoon ancora in corsa è tutt’altro. E i fan della Clinton tremano: pare che molti dei suoi voti si stiano orientando verso il candidato alternativo Jill Stein. Voti pesanti per vincere o perdere.

 

Certo, la battaglia di questi giorni ha costretto Trump a un dibattito in tono minore. La sua consueta spavalderia è apparsa appannata. E quindi un risultato di questa campagna è stato raggiunto: anche il secondo match televisivo è andato alla Clinton, a sua volta apparsa in forma, se non ringiovanita, a dispetto della malattia.

 

Partita ancora non chiusa, quindi, nonostante le apparenze. Ne vedremo delle belle, anzi delle brutte. D’altronde il match è più sanguinario del solito data la posta in palio. Stavolta non c’è in ballo solo il futuro dell’America, le sue direttrici di espansione e di sviluppo, ma un possibile cambiamento del suo ruolo nel mondo.

 

«La politica è sangue e m…, », diceva Rino Formica. Da qui a trenta giorni ne vedremo in abbondanza, dell’una e dell’altra.

 

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