13 Ottobre 2017

L'accordo storico tra Hamas e Fatah

L'accordo storico tra Hamas e Fatah
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Ieri è stato annunciato l’accordo tra Fatah e Hamas, dopo giorni di trattative serrate, svolte nel luogo più sicuro che potessero trovare, la sede dei servizi segreti egiziani.

Proprio l’Egitto è stato il grande sponsor di questa riconciliazione storica, che sana la frattura decennale delle due grandi famiglie palestinesi, consumata quando Hamas aveva preso il controllo della Striscia di Gaza cacciando Fatah.

Per il presidente egiziano Al Sisi è un successo che lo rilancia sulla scena internazionale dopo tanto contrasto che l’aveva relegato in un angolo.

Ma se l’accordo è riuscito è anche grazie al cambiamento di rotta della Fratellanza islamica, punto di riferimento del presidente turco Recep Erdogan e dell’Emiro del Qatar, Tamim bin Hamad al-Thani, quanto di Hamas.

Evidentemente la Fratellanza non aveva più interesse a conservare la frattura e ha facilitato il lavoro di Al Sisi. Guarda caso, i facilitatori dell’accordo, Al Sisi quanto Erdogan, pur se distanti tra loro, hanno buoni rapporti con Putin. Vuoi vedere che…

A Tel Aviv questa riconciliazione non è piaciuta. Hamas è considerata un’organizzazione terroristica (in realtà un po’ in tutto il mondo). Così il premier Benjamin Netanyahu ha tuonato, ma meno del previsto.

Ha detto che tale passo non aiuterà il processo di pace tra israeliani e palestinesi e che attenderà gli sviluppi.

Punti cruciali dell’eventuale casus belli sono il riconoscimento dello Stato di Israele da parte di Hamas, che da sempre lo nega, e il disarmo della stessa, cosa che pare vada a negoziarsi più in là, quando l’accordo si allargherà agli altri movimenti palestinesi, i quali però dovrebbero raccordarsi, stante che la struttura portante della casa comune è stata installata.

Invece il riconoscimento dello Stato israeliano da parte di Hamas dovrebbe essere implicito nell’accordo, dal momento che Fatah lo fa. D’altronde negli ultimi mesi Hamas ha mosso passi in tal senso, riconoscendo i confini della Palestina tracciati nel ’67. Ma tutto è ancora fumoso e ambiguo e certo un’esplicitazione aiuterebbe.

Più duro il ministro dell’Economia di Tel Aviv, il falco Naftali Bennet, che ha dichiarato che Hamas e Fatah  daranno vita a un «governo del Terrore» da contrastare con forza. Insomma in Israele c’è irritazione.

Eppure durante le fasi finali delle trattative, si leggeva sul Times of Israel in un articolo scritto dalla redazione, una delegazione israeliana è volata in Egitto per parlare con «alti funzionari egiziani».

Cosa che faceva presumere agli estensori dell’articolo che egiziani e israeliani avessero parlato proprio delle trattative in corso. E quando si parla, le armi tacciono.

Tante le possibilità che apre la riconciliazione palestinese. C’è chi immagina possa portare a una nuova guerra tra palestinesi e israeliani; eventualità che però rischierebbe di avere effetti contrari ai loro promotori, in quanto unirebbe del tutto le due anime del movimento palestinese.

Cosa che va contro la strategia che ha sempre sotteso la politica israeliana nei confronti dei loro vicini, tesa piuttosto a dividerli (divide et impera è strategia antica ma sempre efficace).

Per al Sisi, invece, la riconciliazione favorirà il processo di pace con Israele. Di certo da oggi la Palestina unita è più forte a livello internazionale. Del doman non v’è certezza. Speranze, a volte.

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