28 Giugno 2025

La spinta per chiudere la guerra di Gaza rafforzata dal confronto che Teheran

di Davide Malacaria
La spinta per chiudere la guerra di Gaza rafforzata dal confronto che Teheran
Tempo di lettura: 4 minuti

Trump ribadisce che la carneficina di Gaza finirà “entro una settimana”. Possibile che, come in altre circostanze, la tempistica indicata dal presidente Usa sia troppo ristretta rispetto alla realtà, ma la sollecitazione serve a urgere Netanyahu a muoversi in tal senso. E sembra avere una certa efficacia.

Netanyahu pronto alla pace?

I media israeliani informano che Netanyahu si sta confrontando con i suoi collaboratori sulla questione. Sul punto, le dichiarazioni di Aryeh Deri, membro del gabinetto di sicurezza di Netanyahu: “Ora più che mai sono state create le condizioni per porre fine alla guerra a Gaza”.

Le ha riportate il Washington Post, commentandole con le osservazioni di  Shira Efron, dell’Israel Policy Forum, secondo la quale la vittoria nella guerra contro l’Iran ha conferito nuova popolarità al premier israeliano, “un capitale politico necessario per poter accettare un cessate il fuoco a Gaza”.

Ceasefire in Iran gives rise to new calls for a deal to end Gaza war

Commenti che si intersecano con quanto riferisce il Timesofisrael: “Gli analisti politici di Channel 12 hanno affermato che ci sono indizi che Netanyahu potrebbe essere pronto per la prima volta a prendere in considerazione la possibilità di porre fine alla guerra di Gaza”.

I segnali non arrivano solo dalla politica. Questo il titolo dell’articolo del Timesofisrael citato: “L’offensiva di Gaza raggiungerà presto i limiti stabiliti dal governo, afferma il capo delle IDF”.

Gaza offensive will soon ‘reach the lines’ set by the government, says IDF chief

Nella nota, le dichiarazioni del Capo di Stato Maggiore Eyal Zamir, il quale ha affermato che l’esercito ha raggiunto i suoi obiettivi grazie alla campagna vittoriosa contro l’Iran. Sempre il media israeliano riferisce che  “Zamir ha recentemente annullato i piani per la chiamata d’emergenza di una brigata di riservisti. L’analista [militare di Canale 12 Nir Dvori] ha affermato si trattava di un segnale per i vertici politici, che indicava come le truppe siano esauste dopo 20 mesi di guerra”, un tragico eufemismo per definire il genocidio di Gaza.

Una prosopopea vanagloriosa che serve a celare ben altro, cioè che dopo la sconfitta subita nel corso della guerra iraniana, con un Paese devastato da missili che hanno inferto duri colpi ai centri nevralgici della sua infrastruttura di intelligence e militare, diventa sempre più insostenibile perseverare nella mattanza dei palestinesi, sia a livello militare, anche perché Hamas ha dimostrato di essere ancora attiva, sia a livello politico, con Israele ormai diventata indifendibile anche dai tanti politici occidentali consegnati all’hasbara.

Così Netanyahu ha assunto un atteggiamento più conciliante verso le sollecitazioni dell’alleato d’oltreoceano, ritenendo che sia meglio chiudere questo capitolo ora che le circostanze sono a lui più favorevoli che rischiare di logorare la posizione di forza conseguita con la vittoria della guerra persa contro l’Iran con altri mesi di inutili stragi a Gaza.

Se la narrazione di una vittoria totale su Teheran ha tale esito, ben venga. E se accordo sarà, Trump è pronto ad accogliere Netanyahu in America per fargli tributare l’ennesima standing ovation dal Congresso, con democratici e repubblicani, a parte quale eccezione, pronti a spellarsi le mani in onore del genocida mediorientale.

Così va il mondo. Consapevole dei ristretti ambiti di manovra, Trump ha trovato un modo per chiudere la vicenda, sfidando fin troppo gli ambiti internazionali che premono per la soluzione finale dei palestinesi e l’incenerimento dell’Iran usando della sanguinaria determinazione del premier israeliano. Non è un caso che ieri Putin, parlando del suo omologo americano, l’abbia definito un “uomo coraggioso“.

Le iniziative di de-escalation di Trump e il senso del limite

Nel frattempo, il giorno in cui chiudeva la guerra iraniana, Trump firmava un accordo commerciale con la Cina, ponendo fine, almeno per ora, al braccio di ferro avviato con Pechino all’inizio della sua presidenza (avendo interrotto, va ricordato, le continue provocazioni militari su Taiwan della precedente presidenza; non è poco).

Inoltre, nello stesso giorno, imponeva la firma di un accordo di pace tra Repubblica democratica del Congo e Ruanda, siglato a Washington, che dovrebbe porre fine a una guerra ultradecennale che ha visto Kigali sponsorizzare a più riprese bande di tagliagole inviate nel Paese confinante allo scopo di consentire alle multinazionali americane di depredarne le immani risorse minerarie.

La predazione andrà avanti, ovviamente, ma l’accordo dovrebbe almeno garantire che avvenga in maniera meno sanguinaria, risparmiando le inutili stragi che hanno consentito alle aziende Hig Tech di incassare dividendi stellari e ai cittadini occidentali di possedere computer, telefonini et similia a prezzi accessibili.

Quanto all’Iran, la cessazione delle ostilità sembra dover perdurare, in particolare perché Israele sta assecondando la narrazione dell’amministrazione Usa sulla completa eliminazione del pericolo – inesistente – del nucleare iraniano. Le spinte per riaprire le ostilità, che pure persistono (facendo leva sulla persistenza del pericolo inesistente), appaiono al momento velleitarie.

Né Israele vuole riaprire quel capitolo, avendo realizzato quanto fossero infondati i report della sua intelligence che riferivano di un Paese ormai indifeso e sull’orlo del collasso a causa dei raid dalla sua aviazione dello scorso settembre e quanto fosse inadeguato il suo apparato militare e difensivo, sopraffatto dalla resilienza di Teheran.

La vittoriosa sconfitta subita ad opera dell’Iran ha imposto un limite alle pulsioni espansionistiche israeliane, che le recenti vittorie contro Hezbollah e in Siria avevano alimentato al parossismo.

Non è solo uno scacco militare, perché tocca un livello esistenziale proprio di certo ambito ebraico – più potente di quello alieno da tali fumisterie – e dei circoli liberal-neocon a cui si accompagna, che hanno in comune l’assenza del senso della realtà e dei limiti che essa pone.

La dura realtà si è imposta e ha posto un limite alla dilagante follia. Da vedere se il rinnovato senso del limite si imporrà anche a Gaza (e nella Cisgiordania, in cui continua lo stillicidio seriale di coloni ed esercito contro la popolazione indifesa). Questa la scommessa di Trump, la speranza di tanti, in Palestina e nel mondo.

 

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