29 Maggio 2018

Le manette di Weinstein

Le manette di Weinstein
Tempo di lettura: 3 minuti

Venerdì 25 maggio la polizia ha messo le manette ad Harwey Weinstein, il produttore hollywoodiano accusato di violenze sessuali da varie attrici. Una notizia di cronaca nera, ma fino a un certo punto.

Se si pensa quanto sia importante Hollywood nel mondo, i soldi che vi girano, e che Weinstein ne era forse il più potente protagonista, si può immaginare che il titolo di “produttore” è alquanto restrittivo.

Weinstein e il clan Clinton

Non solo: quando Bill Clinton incappò nello scandalo Lewinsky, la stagista che lo aveva accusato di indebiti rapporti sessuali, si rivolse proprio a Weinstein, che gli scelse e gli pagò l’avvocato.

Cosa può aver spinto il presidente degli Stati Uniti a rivolgersi a un produttore cinematografico per uscire da guai così devastanti? Evidentemente questi aveva un potere occulto, che non era, né è, di pubblico dominio.

Da allora il potente Weinstein e il potente clan Clinton hanno intrecciato un legame indissolubile, fino alla perdente campagna presidenziale di Hillary, che ha visto ancora una volta in Weinstein un munifico supporter.

Una sconfitta alla quale la Clinton, e con lei i suoi potenti sostenitori, non si è affatto rassegnata.

Interessante quanto scrive Marlow Stern sul Daily Beast: “Hillary ha cenato con Weinstein e la sua squadra, pochi giorni dopo la sua sconfitta elettorale, quando il gruppo ha discusso i piani per realizzare un documentario TV sulla sua campagna”.

La Clinton cioè aveva puntato ancora su di lui per tornare alla ribalta. Una prospettiva legata non solo al rilancio mediatico, che prevedeva, oltre al documentario, l’uscita del libro What Happened, ma anche su una leva più solida: il Russiagate, inchiesta costruita dal partito democratico durante la campagna elettorale grazie alla sua presa sull’apparato.

Trump e il Russiagate

Un’iniziativa che l’ex Segretario di Stato americano ha rivendicato anche lunedì scorso, quando si è fatta immortalare con un colbacco in testa, alludendo proprio a quell’inchiesta i cui sviluppi stanno riducendo gli spazi di libertà del presidente, anzitutto annichilendo le sue aperture a Putin.

Cenni questi ultimi da tener presente anche sotto un altro profilo: allo scontro aperto con la Clinton si accompagna, in parallelo, quello nascosto e non dichiarato che oppone il presidente ai neocon (legati alla Clinton da legami profondi).

Non per nulla lo sviluppo del Russiagate sta favorendo la presa dei neocon nell’amministrazione Trump, che più volte è stato costretto in un angolo dalla loro assertività.

Tale legame occulto tra i neocon e Hillary spiega anche perché lo scontro con l’ex Segretario di Stato non appartiene al passato, ma è più che attuale: simul stabunt simul cadent.

Nonostante gli scandali e la chiusura della sua Casa di produzione (con notevole danno patrimoniale), Weinstein non era stato ancora toccato nella libertà personale. Inaspettatamente, venerdì scorso, sono scattate le manette.

Certo, subito dopo è uscito di prigione su cauzione. Ma, al di là della cronaca nera, resta il simbolo, spesso più importante dei fatti negli scontri di potere.

E le immagini di Weinstein in manette, che in pochi istanti hanno fatto il giro del mondo, hanno una portata simbolica di alto livello.

Un evento, un simbolo che potrebbe offrire a Trump la possibilità di uscire un po’ dall’angolo.

 

Ps. L’arresto di Weinstein ha rappresentato, ovviamente, anche una vittoria del movimento di ispirazione femminista Mee too, che ha preso il via proprio dalla denuncia delle molestie sessuali del produttore. Capita spesso che certi sviluppi siano determinati da una convergenza di interessi e di forze.

Sul movimento in questione non ci soffermeremo, stante che oltre a rivendicazioni più che giuste, al suo interno si agita qualcosa di incerto e oscuro, che non comprendiamo (vedi articolo sulla povera Asia Argento e vedi alla nota l’Avvocato del diavolo).

 

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