25 Marzo 2020

Coronavirus: Cina e Usa devono collaborare. E Trump lo ha capito

Coronavirus: Cina e Usa devono collaborare. E Trump lo ha capito
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Trump cambia registro e lascia cadere la retorica anti-cinese che ha caratterizzato il suo approccio alla pandemia da coronavirus. Sembra una svolta, che potrebbe essere di grande aiuto al mondo in questo momento tragico, sempre se durerà.

La pandemia dovrebbe unire contro il nemico comune, unico modo per abbreviare tempi e danni, ma così non è. Più o meno tutte le nazioni stanno affrontando il flagello in solitaria. E già non aiuta. Ma più distruttiva ancora è la guerra di propaganda tra Stati Uniti e Cina, prosecuzione stolida dell’antagonismo tra le due superpotenze del tempo pre-crisi.

Coronavirus: Trump e i falchi dell’epidemia

I falchi Usa stanno alimentando un’intensa campagna contro Pechino, accusata di aver portato l’epidemia nel mondo.

Narrativa rafforzata da quando il virus ha investito gli Stati Uniti. Tanti i falchi arruolati in questa campagna, che si può sintetizzare con le parole di John Bolton, ex Consigliere per la Sicurezza nazionale di Trump.

Per Bolton la Cina è responsabile di un “immane insabbiamento” della virulenza del flagello e “il mondo deve agire per metterla di fronte alle sue responsabilità” (Foxnews). Insomma, i dirigenti cinesi dovrebbero essere trascinati di fronte a un Tribunale internazionale per crimini contro l’umanità.

Vero, l’epidemia ha colto impreparate le autorità cinesi, che all’inizio hanno sottostimato il pericolo, ma poi, come riconosciuto dall’Oms, Pechino ha fatto sforzi enormi per contenere la bomba biologica e ha condiviso tutte le sue scoperte sul virus  con il mondo.

Se gli Usa, come altri, hanno in mano qualche arma contro il nemico invisibile, anche se ancora spuntata, e se sono iniziati gli studi sul vaccino, è grazie ai cinesi. Né, quanto a sottostima del pericolo, gli altri hanno fatto meglio di Pechino.

Nessuno era preparato

Il mondo ha avuto un mese per prepararsi allo tsunami in arrivo da Wuhan. Eppure, nonostante fosse evidente la furia del virus (un’intera regione sigillata), nessuno ha fatto nulla. Così, quando l’onda ha sommerso man mano l’Europa, tutti sono stati colti alla sprovvista.

L’Italia per prima, ma anche gli altri Paesi, i cui leader, mentre il morbo falcidiava la nostra penisola, hanno continuato a rassicurare i propri cittadini e a minimizzare il pericolo.

E così anche l’America, prima che l’onda la investisse. Sottostima cumulativa, che interpella anche sull’efficienza dei pur sofisticati servizi di informazione d’Occidente, evidentemente o poco informati, o poco comunicativi oppure accecati.

Sia che quel che sia, di certo è un fallimento epocale per gli apparati preposti alla sicurezza nazionale (sul punto si può notare che Bolton, all’inizio del suo incarico presso Trump, abolì l’ufficio anti-pandemia interno alla struttura che dirigeva, vedi Piccolenote).

La necessaria convergenza

Ma al di là, resta l’antagonismo Usa-Cina, del tutto nocivo in questo momento in cui il coronavirus è “mal comune” (e tale rimane.. il “mezzo gaudio” con cui conclude il proverbio si registrava solo quando affliggeva la Cina, e a godere erano gli stessi ambiti che ora accusano Pechino).

Tante le pressioni su Trump, che evidentemente l’avevano convinto a puntare il dito contro Pechino. Ma questo prima. Come detto, il presidente Usa sembra aver cambiato approccio, lasciando cadere le accuse.

Anzi aggiungendo che certa propaganda anti-asiatica, che ha portato a episodi di razzismo contro i cinesi, lo aveva contrariato e avrebbe trovato contrasto. “Non lascerò che ciò accada”, ha detto, elogiando poi la comunità asiatico-americana (South China Morning Post).

Certo, non è un’apertura a Pechino, ma non aver ripreso il refrain sul “virus cinese” è tanto, date le pressioni avverse (peraltro siamo in un anno elettorale…).

A spiegare la svolta potrebbe essere quanto nota il New York Times, che dettaglia come l’America abbia bisogno di attrezzature, guanti e mascherine. Che solo la Cina può fornire nell’immediato. Da qui la possibilità di una tregua per far fronte all’emergenza sanitaria Usa.

Superare le barriere ideologiche

Ma si potrebbe arrivare a un accordo più alto, come auspica il Global Times. Le due superpotenze, scrive il sito cinese, dovrebbero “fare fronte comune contro il coronavirus”, per “aiutare il mondo a far convergere le risorse globali per combattere l’epidemia e aiutare i Paesi più in difficoltà”.

“Solo questo eviterà che l’epidemia vada ancora più fuori controllo, potrà ripristinare lentamente la capacità del mondo di aiutare i più bisognosi, ridurrà le catastrofi umanitarie e salverà vite”.

Tale accordo, peraltro, accrescerebbe “il prestigio della Casa Bianca” e potrebbe persino favorire la “rielezione” di Trump…

“Nella seconda guerra mondiale – aggiunge il GT- gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Unione Sovietica furono in grado di superare enormi differenze ideologiche e di combattere insieme l’Asse nazi-fascista. Il coronavirus è feroce quanto i nazi-fascisti”.

Immagine forzata, quest’ultima, ma efficace, dato che il virus potrebbe fare più morti della guerra suddetta. Secondo la simulazione Event 201 dell’ottobre scorso, nella quale alcuni istituti Usa avevano previsto lo scatenarsi di una pandemia, le vittime del futuro flagello erano stimate in 65 milioni (contro i 55 milioni della guerra). Profezia che rischia di auto-avverarsi senza un coordinamento internazionale.

Insomma, serve l’accordo sino-americano. Trump lo ha capito, ma è da vedere se riuscirà a muoversi in tal senso.