8 Novembre 2025

Trump incontra Orbán e apre all'Iran

di Davide Malacaria
Trump incontra Orbán e apre all'Iran
Tempo di lettura: 4 minuti

Trump ha incontrato  Viktor Orbán alla Casa Bianca. Un evento di rilevanza primaria se si tiene a mente che a metà ottobre era sul tavolo l’incontro con Putin a Budapest, con il primo ministro ungherese pronto a ospitare il summit. Eppure la visita ha avuto poca eco sui media mainstream dal momento che la distensione Usa-Russia e la conclusione del conflitto ucraino sono avversati con ferocia dal partito della guerra a trazione neocon.

E, però, l’incontro segnala che l’opzione è ancora sul tavolo, come peraltro accennato anche dal presidente Usa che, rispondendo a un cronista dopo il colloquio con Orbán, ha dichiarato: “C’è sempre una possibilità. Vorrei che si tenesse in Ungheria, a Budapest”. Accenno aleatorio, ma è alquanto ovvio che il summit con il primo ministro ungherese verteva su tale eventualità.

Orban alla Casa Bianca, Trump esenta Ungheria da sanzioni su petrolio russo

Un’eventualità che la rinnovata corsa al nucleare – con Trump che ha dato ordine di riprendere i test e la Russia che ha risposto prontamente con una misura analoga – più che allontanare, approssima. Lo spauracchio della guerra atomica è brandito proprio per rendere più digeribile all’opinione pubblica un vertice che dissolva la paura della guerra termonucleare.

A margine, l’incontro serviva allo stesso Orbán, che ha cercato e trovato una sponda americana per far fronte alla pressione della Ue, la cui irritazione per la sua posizione nei confronti della Russia e della guerra ucraina gli sta causando non pochi problemi.

Nel suo viaggio oltreoceano ha spuntato da Trump un’esenzione annuale dalle sanzioni per l’acquisto del gas russo, con il tycoon che peraltro lo ha elogiato non poco: un altro modo per polemizzare con la Ue, con la quale il presidente Usa ha ingaggiato un vero e proprio duello sottotraccia, che a volte si accende di improvvise escalation.

D’altronde, ormai la leadership Ue è subordinata a neocon e ai liberal americani che, agendo di sponda con la Gran Bretagna (che accarezza il sogno di un ritorno ai fasti dell’anglosfera), sta portando al collasso il Vecchio Continente. E Trump ha nei neocon/liberal i suoi più acerrimi antagonisti, benché sia stato costretto a cedere ai neocon tanto potere (in realtà, sono semplicemente tornati a gestire quanto hanno gestito dall’11 settembre fino alla presidenza Biden, solo in modalità più palese e brutale).

Resta che sull’ipotesi di una distensione con Mosca pesa non solo l’isteria anti-russa di cui è preda la Ue, alimentata dai circoli di cui sopra, ma anche lo sfoggio muscolare Usa nei confronti del Venezuela.

Su tale crisi, va ricordato che alcuni giorni fa il portavoce del Cremlino Dmitrj Peskov ha dichiarato che la Russia è in costante contatto con Caracas e si è proposta di mediare tra questa e Washington, rompendo l’attuale “stallo”. Non sappiamo se Orbán si sia fatto tramite di una proposta per una possibile soluzione alla crisi, ma è plausibile.

Trump incontra Orbán e apre all'Iran

Non solo la Russia, giovedì sera Trump è tornato a parlare anche dell’Iran e in modo non conflittuale, anzi. Discettando del rapporto con Teheran ha rispolverato la sua solita retorica da bullo, aggiungendo però che l’Iran ha chiesto una revoca delle sanzioni e commentando così: “Sono aperto ad ascoltare la richiesta: vedremo cosa succederà, ma lo farei volentieri”.

Apertura che ha accompagnato menando vanto di essere stato il “responsabile” dell’attacco israeliano a Teheran dello scorso giugno, smentendo quanto comunicato all’epoca, cioè che Israele aveva agito di propria sponte.

Probabile che la vanteria, che ha ovviamente fatto infuriare Teheran, serviva a coprire l’apertura suddetta, che aveva un fondo di verità e rivelava un dialogo sottotraccia tra i due Paesi.

Infatti, non sembra un caso che ieri Israele abbia denunciato un tentativo iraniano di attentare alla vita del proprio ambasciatore in Messico. L’Iran ha negato, né si comprende che senso possa avere una simile mossa, del tutto inutile, anzi controproducente nell’ambito del confronto Teheran – Tel Aviv. Serve, però, a criminalizzare per l’ennesima volta l’Iran, impedire che la timida apertura di Trump diventi altro da mero flatus vocis.

Fin qui i tentativi di Trump di liberarsi dalla stretta dei neocon (che gli stanno limitando non poco la libertà di manovra, ma la cui presa si è rafforzata anche per i suoi tragici errori). Su un solo quadrante è riuscito a spuntare qualcosa, ed è quello riguardante Gaza, genocidio al quale ha contribuito non poco, ma che lo ha visto anche in versione frenante.

Di ieri la notizia che il flusso di aiuti diretti a Gaza è stato tolto dalle mani di Israele per passare al Centro di coordinamento civile-militare internazionale creato da Washington per monitorare il cessate il fuoco. Una mossa che potrebbe alleviare le sofferenze dei palestinesi ai quali, nonostante gli accordi, gli aiuti continuano ad arrivare col contagocce.

Su quel “potrebbe” grava, però, un enorme punto interrogativo: basti ricordare gli orrori di cui si è resa protagonista la Gaza Humanitarian Foundation quando fu inviata a distribuire gli aiuti nella Striscia per contro degli States. Né aiuta ad aver fiducia in questa mossa l’attuale operato del Centro internazionale in questione, dal momento che Israele continua impunemente a violare il cessate il fuoco con attacchi diuturni.

Peraltro, l’altro grande interrogativo sul ruolo di pacificazione svolto dagli States riguarda la Cisgiordania, dove coloni e IDF continuano a imperversare imperterriti: solo nel mese di ottobre si sono registrati 2.350 attacchi contro i palestinesi. Una violenza sistematica che discende dall’intento di gazificare l’ultima ridotta palestinese (vedi Haaretz).

Gazafication of the West Bank Won't Solve Israel's Security Problems. It Has to Stop

D’altronde, non è possibile dividere le criticità di Gaza da quelle della Cisgiordania, partecipando ambedue i territori dell’indivisibile tragedia dei palestinesi e tormentati entrambi dalla pulsione genocida di cui è preda Tel Aviv. Tale distacco non è miopia, ma un crimine deliberato. Ci torneremo.

 

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