Ucraina: la guerra insensata che deve finire
Tempo di lettura: 3 minutiIl 3 novembre Trump ha negato nuovamente il trasferimento dei missili Tomahawk all’Ucraina. Non una mera reiterazione del niet opposto a Zelensky quando, a metà ottobre, si era recato alla Casa Bianca sicuro di riceverli in dono. Infatti, dopo quell’incontro, il Pentagono aveva smentito Trump, il quale aveva fatto leva sulla loro scarsità per negarli, comunicando che invece ce n’erano abbastanza da poter rifornire Kiev.
Si era ripetuto quanto avveniva ai tempi di Biden, quando i niet presidenziali alle richieste sempre più eclatanti di Zelensky erano poi superati grazie alle manovre e alle pressioni dei membri della sua amministrazione.
Con Trump il giochino (al massacro) non ha funzionato, almeno per ora. Trump ha vanificato anche la pressione europea, concretizzatasi con l’invio di altri missili Storm Shadow da parte della Gran Bretagna, che evidentemente sperava con tale mossa di favorire l’indebita sollecitazione del Pentagono. Anche questa è una dinamica già vista con la presidenza Biden.
Il niet di Trump è stato accompagnato ad alcune significative dichiarazioni di altre figure chiave del conflitto ucraino, che in questi giorni hanno cercato di convincere Zelensky a recedere dal continuare a mandare al macello i suoi concittadini.
Riportiamo da Strana del 4 novembre (il giorno successivo alla dichiarazione di Trump): “Il rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO, Matthew Whitaker, è arrivato a Kiev. Ha già incontrato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky”.
“Whitaker ha scritto [dell’incontro] sul social media X: ‘Ho chiarito che questa guerra insensata deve finire e che la pace, da raggiungere grazie agli sforzi del presidente degli Stati Uniti Donald Trump; è l’unica via percorribile'”.
Così prosegue Strana: “Abbiamo già riferito che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha ribadito il suo rifiuto di trasferire i missili Tomahawk all’Ucraina. Ha anche espresso l’opinione che la guerra tra Russia e Ucraina debba raggiungere un punto critico affinché si riconosca sia la gravità della situazione che la necessità di raggiungere la pace”.
“Nel frattempo, il Capo del Comitato militare della NATO, Giuseppe Cavo Dragone, ha dichiarato che la guerra in Ucraina è giunta a un punto morto ed è arrivato il momento di avviare negoziati”.
Il cenno al punto critico che dovrebbe convincere Zelensky a recedere dalle sue insane posizioni massimaliste per virare su un sano realismo potrebbe essere stato già raggiunto.
Infatti, i russi hanno accerchiato oltre 10mila soldati ucraini nelle sacche di Kupjansk e Pokrovsk, accerchiamento negato dalle autorità ucraine che però hanno impedito ai cronisti di verificarlo quando Putin aveva invitato questi a sincerarsi della veridicità delle affermazioni di Mosca (per favorire l’ingresso dei giornalisti aveva dato ordine di fermare le ostilità).
Nonostante i dinieghi delle autorità di Kiev, il disastro è innegabile, tanto che ne ha scritto anche il Washington Post in un articolo nel quale gli consigliava di non ripetere gli errori di Bakhmut e Avdiivka dove, per evitare di concedere ai russi una vittoria “propagandistica” (e non solo propagandistica…), hanno dato ordine ai loro soldati di resistere fino alla fine, subendo “enormi perdite”.
Per il Wp gli ucraini dovrebbero ritirarsi così da risparmiare le forze per potersi ancora contrapporre ai russi. Anche questo consiglio, in realtà, non trasuda eccessivo realismo dal momento che è da vedere se i russi lo consentiranno: ad oggi sembra che per gli ucraini l’alternativa alla morte è arrendersi (durante la controffensiva russa di Kursk, Trump chiese a Putin di lasciare andare migliaia di ucraini accerchiati e questi acconsentì nella speranza che il gesto rendesse Kiev più ragionevole; data la delusione pregressa, potrebbe non ripetersi).
Ma il consiglio più o meno irrealistico cela una paura sottesa all’articolo del Wp, quella che i russi, dopo aver preso Pokrovsk, possano dilagare, dal momento che gli ucraini non hanno predisposto difese insormontabili dietro di essa.
A margine, si può notare che le dichiarazioni di Trump sul conflitto ucraino made in neocon, che saranno risuonate gradite alle orecchie dello zar, giungono mentre, su un altro fronte, il tycoon prestato alla politica sembra frenare, e non sembra a caso, un’altra guerra neocon.
Di oggi, infatti, le indiscrezioni del Wall Street Journal sulle “riserve” di Trump riguardo l’attacco al Venezuela. Abbiamo accennato in note pregresse come un eventuale attacco a Caracas porrebbe criticità al rapporto tra Trump e Putin ed è questo, più che altro (che pure c’è), che sta frenando il presidente americano.
Non è certo una questione di simpatia o meno per lo zar: sono in ballo tante cose, tra le quali anche la stessa riuscita della campagna. Se Russia e Cina aiuteranno indirettamente Caracas, l’intervento Usa, benché possa conseguire un facile successo, non “andrebbe a finire bene”, come insegnano i precedenti tentativi di regime-change.
Lo accenna Foreign Affaires, che in un articolo nel quale rileva tutte le criticità dell’eventuale invasione, annota: “Come ha osservato l’analista latinoamericano Juan David Rojas, il Venezuela ospita un ‘caleidoscopio di sofisticati attori armati’, tra cui milizie filo-regime note come colectivos e gruppi armati transnazionali come l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN) e i resti delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia)”.
“Phil Gunson, analista dell’International Crisis Group con sede a Caracas, ha dichiarato al Guardian all’inizio di ottobre che il Venezuela ‘è pieno di gruppi armati di vario genere, nessuno dei quali ha alcun incentivo ad arrendersi o a smettere di fare ciò che sta facendo’. Le probabilità – e le possibili conseguenze – di passi falsi degli Stati Uniti sono elevate”. Soprattutto se a tali gruppi arriveranno aiuti sottotraccia.
