5 Novembre 2025

New York: l'elezione di Mamdani, un referendum sulla Palestina

di Davide Malacaria
New York: l'elezione di Mamdani, un referendum sulla Palestina
Tempo di lettura: 4 minuti

L’elezione del sindaco di New York ha assunto un alto valore simbolico mano a mano che crescevano i consensi per Zorhan Mamdami, che ha sconfitto due volte Andrew Cuomo, sia alle primarie del partito democratico che alle votazioni successive, alle quali si è presentato come indipendente.

Simboliche perché Mamdami è socialista e musulmano, ma soprattutto perché le sue ferme posizioni su Gaza hanno trasformato le elezioni in un “voto sul Medio oriente”, come titola il New York Times. Titolo un po’ eufemistico per dire che è stato un referendum su quanto sta avvenendo a Gaza e in Cisgiordania, che Mamadami ha stigmatizzato più volte attirandosi ire.

How New York’s Mayoral Race Became a Vote on the Middle East

Ha sconfitto un vero e proprio “esercito di miliardari”, per usare le parole del Time, che hanno inondato la campagna elettorale di Cuomo di dollari; e un esercito di rabbini, come attesta la lettera aperta firmata da 1183 rabbini statunitensi che allarmava sulla minaccia che Mamdami rappresenterebbe per gli ebrei.

The Billionaires Who Failed to Stop Zohran Mamdani, and How Much They Spent

Ad attestare l’importanza del voto anche l’attenzione spasmodica riservatagli dai media israeliani, quasi tutti allarmati per la possibile vittoria di Mamdami. Allarme che si è trasformato, dopo il voto, in irritazione. Detto questo, non tutti gli ebrei di New York gli erano avversi, tanto il 30% di essi lo ha votato, come scrive Haaretz.

Per comprendere quanto sia stata importante questa elezione per Israele, un cenno di Haaretz: “Mercoledì mattina, i titoli dei giornali israeliani si sono concentrati quasi esclusivamente sulla vittoria di Zohran Mamdani nella corsa a sindaco di New York, per ovvie ragioni. L’elezione di un politico musulmano con posizioni così fortemente contrarie a Israele nella città con la più grande popolazione ebraica al mondo [nonché cuore indiscusso dell’Impero ndr.] è davvero una notizia di portata gigantesca”.

For Israel, It's Not Only Mamdani's Win That Spells Trouble Ahead in the U.S.

Inutile rilevare che un’analoga attenzione, per motivi opposti, è stata riservata dai media arabi più ingaggiati nella difesa dei diritti dei palestinesi. “Zohran Mamdani scrive la storia diventando il primo sindaco musulmano di New York City”, titola il Middle east eye.  Sottotitolo: “All’inizio della corsa aveva ottenuto solo l’1% di consensi, mobilitando gli elettori in un modo mai visto da decenni”. Titoli analoghi campeggiano su altri media arabi.

A rendere più sorprendente la sua vittoria il fatto che aveva contro l’establishment del suo partito, come annota English al mayadeen: “La vittoria di Mamdani ha acuito le divisioni già esistenti all’interno del partito Democratico perché importanti figure dell’establishment, tra cui il leader della minoranza alla Camera Hakeem Jeffries e i senatori Chuck Schumer e Kirsten Gillibrand [forse i più autorevoli ndr.], hanno offerto un appoggio minimo o tardivo” (Schumer si è anche rifiutato di dire per chi ha votato…).

Ciò rende la sua vittoria di altra natura rispetto a quelle conseguite dal partito democratico nelle varie elezioni che si sono svolte ieri, nelle quali i dem hanno fatto man bassa ponendo una seria ipoteca sulle elezioni di midterm prossime venture.

Ma una vittoria dei democratici alle midterm potrebbe non avere alcuna influenza sull’attuale approccio degli States alle criticità del Medio oriente, basti pensare all’appiattimento di Biden sulle posizioni di Israele nella prima fase del genocidio (al netto delle vacue irritazioni estemporanee contro Netanyahu). Lo dimostra, peraltro, la freddezza dell’establishment del partito nei confronti del candidato di New York.

Ma la vittoria di Mamdani potrebbe dare slancio alla sinistra del partito, quella che si riconosce in Sanders, tanto da riuscire imporre propri candidati nelle primarie del partito e condizionarne le posizioni. Così la vittoria simbolica assumerebbe una valenza più concreta.

Quanto alla figura di Mamdani, che secondo alcuni osservatori la vittoria odierna potrebbe lanciare come candidato alla presidenza del 2026 (ma sembra impedito dalla Costituzione…), forse ha ragione Ross Douthat che sul New York Times ricorda le storiche figure dei sindaci newyorkesi che l’hanno preceduto e annota come la vittoria nella Grande Mela abbia rappresentato l’apice della loro carriera.

Ciò detto, Douthat osserva però che Mamdani potrebbe ritagliarsi un ruolo molto influente nel partito, avendo il potenziale per affermarsi come successore di Bernie Sanders, che l’avanzata età destina a una prossima uscita di scena. Infatti, ha il quid che non si rinviene in nessuno della Squadra, il gruppo politico che ha in Sanders il punto di riferimento.

A margine va registrato che la questione Israele, meglio il genocidio dei palestinesi, è al centro dello scontro politico anche a destra, con i Maga della prima ora critici verso l’establishment del partito repubblicano, sul quale grava la presa dei neocon. Scontro che vede Tucker Carlson, forse il più popolare esponente del movimento Maga, al centro di un fuoco incrociato da parte dei sostenitori delle politiche di Tel Aviv, dei quali i neocon sono il volto pubblico.

Da tempo inviso a tale ambito, Carlson ha osato intervistare Nik Fuentes, figura più che controversa sulla quale grava il marchio dell’antisemitimismo, suscitando un vespaio. In realtà non vedevano l’ora che Carlson facesse un passo falso, soprattutto da quando, parlando al funerale di Charlie Kirk, Carlson ha adombrato la mano di Israele dietro l’assassinio del suo amico, anche se in maniera più che allusiva (almeno questo gli è stato rimproverato).

L’establishment di cui sopra ha chiesto pubblicamente che la Heritage Foundation, il think tank al quale Carlson si appoggia, lo allontani, ricevendone un diniego. Partita aperta, dal momento che alcuni importanti esponenti ebrei che si riferiscono alla Fondazione stanno sollecitando il presidente, Kevin Roberts, perché ceda.

Carlson è stato difeso dell’ideologo conservatore Steve Bannon: “Volevano schiacciare Tucker per aver ospitato Nick Fuentes. Tucker è solido come una roccia. Non siamo d’accordo su tutto, ma la forte reazione emotiva per quell’intervista, proprio non la capisco”. Basterà a evitargli l’emarginazione o un destino peggiore?

 

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