26 Maggio 2014

Di elezioni e altro

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La Forza è con Renzi. Non si aspettava nemmeno lui questi numeri, che neanche nel quarantennio della Dc. Ha vinto, anzi stravinto, sia nelle elezioni che nel chiuso delle urne. Le opposizioni ne escono asfaltate, sia quelle esterne, leggi Grillo, che quelle interne, leggi sinistra del Pd. Ora può cambiareverso all’Italia, secondo quanto immaginato dai grandi architetti che hanno disegnato per lui le riforme che cambieranno il Paese, giù, nel profondo. Riforme che, nelle intenzioni, stabilizzeranno il quadro politico dell’Italia rendendo impossibile – o quasi – l’emergere di anomalie o varianti, consegnandolo a una dialettica hegeliana destra-sinistra destinata a una sintesi interna di sistema. Già, perché al contrario di quando gli italiani votarono in massa Berlusconi, personaggio al quale spesso Renzi (si) è accostato, stavolta non si votava per esprimere la propria preferenza al singolo partito o personaggio politico; si votava, al di là della consapevolezza del singolo elettore, per un nuovo sistema – Italia. Il progetto marcerà a tappe forzate, mentre il semestre europeo darà a Renzi ancora più forza e visibilità, anche internazionale.

Una chiosa su Grillo: nonostante la debacle, il movimento Cinque stelle ha dimostrato di essere una realtà politica italiana consolidata. Ma i risultati di ieri danno un responso inequivocabile: l’opposizione dura e pura porta quei voti, nessuno in più, come racconta, tra l’altro, il dato dei tanti che non si sono recati alle urne preferendo la protesta dell’assenza. La rivoluzione sognata da Grillo appare quindi impossibile. Il movimento può rimanere su questa posizione, sperando in futuro più o meno remoto quanto più o meno impossibile, di raggiungere il 51% dei consensi; oppure cambiare accedendo a una dialettica e a una prassi politica che vive di negoziati e compromessi: può essere che perda voti di protesta, ma che ne guadagni altri altrove, ma soprattutto potrebbe dare sostanza alle proprie idee. Sempre se questo cambiamento del movimento sia possibile, stante la sua natura e i contrasti che troverà sul cammino prossimo venturo.

Resta che sui media rimbalza l’esultanza dei figuranti e delle vestali di questa nuova era renziana. Del tutto giustificata: il futuro appare “cosa loro”. Il treno è partito e sarà difficile per chiunque tentare di deviarne la corsa senza esserne travolto. I mercati hanno scommesso su questa vittoria, la borsa di Milano ha registrato uno scatto del 3%. Insieme all’esultanza dei vincitori e allo scoramento dei vinti rimangono le domande sulla crisi presente e sulle capacità di questa nuova classe dirigente di affrontarla. Il voto ha chiesto questo più che le riforme.

 

In Europa si è registrata l’avanzata delle forze di opposizione al sistema finanziario-burocratico che la guida, in particolare con le affermazioni di Nick Farage e Marine Le Pen. Ma il quadro, al fondo, resta stabile. Dovesse servire, per frenare eventuali spinte critiche, si potrà accedere anche a una Grosse Koalition – alla tedesca – dal momento che la destra e la sinistra europea hanno individuato nel populismo il nemico comune. D’altronde anche le vittorie di Farage e della Le Pen rischiano di essere depotenziate in chiave europea: il primo, in fondo, rappresenta l’atavica criticità britannica nei confronti del Continente, quindi la sua spinta può essere riassorbita all’interno della dialettica nazionale e in quella tra l’isola-nazione e la Ue; la seconda deve fare i conti con l’accusa di anti-semitismo che da sempre accompagna il suo movimento, rilanciato su scala internazionale, al di là delle intenzioni degli autori, dall’attentato contro il museo ebraico avvenuto ieri  a Bruxelles (un allarme che giunge tardivo e paradossale, dopo che il Moloch del neonazismo si è ridestato in Ucraina nel silenzio assenso dell’Europa).

 

Al di là della cronaca, nella giornata di ieri è registrata una pagina di Storia, quella vera. L’incontro a Gerusalemme, al Santo Sepolcro per l’esattezza, tra Papa Francesco e il Patriarca ecumenico Bartolomeo I. Mille anni di separazione tra le due Chiese. Mille anni che durante il pontificato di Paolo VI, vero gigante della storia contemporanea, si erano ridotte. Questo incontro ha accorciato ulteriormente queste distanze, anche senza alcun passo formale, perché ha reso più facile il dialogo. Prima dell’incontro, Bartolomeo I aveva inviato un messaggio al Papa: «Abbiamo bisogno della sua parola coraggiosa, e soprattutto del suo sorriso e la sua buona salute». facciamo nostro l’augurio, attuale in questi tempi fluidi, incogniti e precari.

 

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