2 Aprile 2015

Erdogan e il caos in Turchia

Erdogan e il caos in Turchia
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Turchia nel caos. In pochi giorni si sono succeduti: un blackout che ha oscurato il Paese; il sequestro di un magistrato ad opera di terroristi rossi interrotto da un blitz della polizia; l’irruzione di un malintenzionato nella sede del partito di governo, l’Akp, il quale, sgombrati tutti, ha innalzato una bandiera turca “aggiornata” con l’immagine di una scimitarra; l’uccisione di due terroristi in procinto di compiere un attentato a una centrale di polizia di rilevanza nazionale; cinque allarmi bomba su altrettanti aerei in decollo. Grande caos, insomma, per un Paese dove il 7 giugno si svolgeranno elezioni politiche molto importanti: il partito di Erdogan, l’Akp, cerca i tre quarti dei seggi a disposizione per attuare l’agognata riforma costituzionale, ma i suoi consensi sono in calo.

 

Difficile capire cosa stia veramente accadendo in questa nazione dove la spaccatura tra governo e opposizione è più che accesa e dove Erdogan da tempo fronteggia i simpatizzanti di Fethullah Gülen, suo vecchio compagno di partito ormai in esilio che dagli Usa, questa l’accusa del presidente turco, sta muovendo i fili di una opposizione accesa. Senza contare che Erdogan deve tenere sotto controllo l’ambizione di Ahmet Davutoğlu, ideologo dell’Akp e fido ministro degli Esteri di Erdogan, da poco diventato premier con velleità di autonomia politica.

 

Non è solo un’opposizione politica quella di Gulen: se Erdogan sta dando spazio agli islamisti, gli altri gli contrappongono la laicità kemalista, che ha in Ataturk il nume tutelare e trova ampi consensi nell’esercito. Sono tensioni che affondano nelle radici del cosiddetto Stato profondo agitandone le acque, nelle quali sguazzano organizzazioni come quella dei Lupi Grigi (do you remember Alì Agca?).

 

 

E, d’altra parte, nonostante il faticoso di processo di pace, resta inevaso anzi si riaccende lo scontro che oppone il governo centrale al nazionalismo curdo, i quali hanno ora in Iraq qualcosa che somiglia maledettamente a un embrione di Stato nazionale.

Situazione resa ancora più complicata se collocata in un quadro più ampio: l’attivismo politico verso l’estero della Turchia ha fatto del Paese una sorta di hub del terrorismo internazionale, il quale viene incanalato verso la vicina Siria per scardinare il presidente Assad, ma non solo (basti pensare agli stretti rapporti tra Ankara e i vari partiti e movimenti ispirati alla Fratellanza musulmana sparsi nel variegato mondo arabo).

 

Insomma, è un quadro complesso e opaco quello nel quale si sono innestate le disavventure succedutesi nelle ultime 48 ore. Difficile orientarsi. «Forse da 48 ore, qui, non c’è una mano invisibile che ha schiacciato il pulsante “caos”. Ma molti interessi diversi, in un Paese dove tutti i nodi sono venuti improvvisamente al pettine, e sono pesanti come macigni», scrive Marco Ansaldo sulla Repubblica del 2 aprile.

Diverse le ipotesi dietro questa nuova ondata di tensioni in salsa turca. Ci permettiamo di segnalare due cenni particolarmente significativi.

 

Il primo è opera di Esmahan Aykol, una giallista che scrive da Istanbul per Repubblica, che il due aprile commenta in questo modo l’incursione nella sede dell’Akp: «Oggi è stato un altro giorno turbolento pieno di azione e di teorie cospirative: il primo evento è stata l’irruzione in un ufficio dell’Akp di un uomo armato che ha appeso la bandiera turca con il Zulfiqar dipinto sopra. Il Zulfiqar (o spada di Alì, che lo sciismo considera il suo primo Imam dopo Maometto) è una spada a due punte associata alla minoranza alawita in Turchia [quella di Assad per intendersi ndr.]. La bandiera era ridicola – non c’è mai stata una bandiera così, neppure in passato – e l’uomo armato con la sua cintura da commando e la pistola piena di proiettili a salve farsesco».

 

Il secondo riguarda la morte del magistrato Mehmet Selim Kiraz, titolare dell’inchiesta sulla morte del giovane Berkin Elvan, ucciso da un lacrimogeno nel corso della repressione dei moti di Gezi Park, dove i manifestanti protestavano contro Erdogan e l’islamizzazione dello Stato. Sequestrato da sedicenti terroristi di sinistra, si è detto, l’uomo è morto durante il blitz delle teste di cuoio intervenute per liberarlo. L’agenzia Nena rivela che il magistrato «il giorno prima di morire si era schierato contro l’insabbiamento delle indagini sulle gravi violenze compiute dalla polizia nei confronti dei manifestanti di Gezi Park nel 2013».

 

Suggestioni, poco altro. Ma è certo che da qui al 7 giugno la partita che si è aperta in Turchia riserverà altre e forse più tragiche sorprese.

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