19 Novembre 2025

Gaza e Ucraina: a Istanbul sfuma la de-escalation

di Davide Malacaria
Gaza e Ucraina: a Istanbul sfuma la de-escalation
Tempo di lettura: 4 minuti

Oggi poteva essere un giorno cruciale per i destini del mondo. Steve Witkoff avrebbe dovuto recarsi a Istanbul per incontrare una delegazione ucraina di alto profilo e il capo di Hamas Khalil al-Hayya, due incontri paralleli sulle crisi che più affliggono il modo, ma all’ultimo minuto ha disertato, mandando a vuoto l’occasione.

Non sappiamo cosa sia successo per vanificare il lungo lavorio dell’uomo di fiducia di Trump, sappiamo però quanto riporta Axios, cioè che quando Kirill Dmitriev, l’uomo di fiducia di Putin, si era recato negli States a fine ottobre i due avevano lavorato a un piano per porre fine alla guerra ucraina.

Scoop: U.S. secretly drafting new plan to end Ukraine war

Il dialogo tra Russia e Stati Uniti era proseguito sottotraccia nei giorni seguenti e lunedì Witkoff si è incontrato a Miami con il Consigliere per la Sicurezza nazionale ucraino Rustem Umerov, la figura di Kiev più aperta ai negoziati, per concordare un vertice con la leadership ucraina da tenersi a Istanbul.

Secondo Politico, Witkoff avrebbe dovuto prospettare a Kiev un piano di pace già fatto, che gli ucraini avrebbero dovuto semplicemente sottoscrivere. È evidente che il successivo passaggio a Mosca avrebbe visto Putin accogliere il piano americano ascrivendo il successo al suo omologo statunitense, gloria alla quale Trump più aspira.

"Zelensky will be forced to accept the terms." Trump is expected to agree on a plan to end the war by the end of the week.

In parallelo, Witkoff doveva dialogare con Khalil al-Hayya, il leader di Hamas, col quale avrebbe dovuto rapportarsi su quanto rimasto in sospeso del cosiddetto piano di pace americano su Gaza, che ieri ha avuto il sigillo dell’Onu.

Probabile che l’incontro dovesse sciogliere il nodo del disarmo di Hamas, sul quale il piano made in Usa rischia di collassare a causa della pressione di Israele in tal senso e della resistenza di Hamas a cedere.

A mandare a vuoto l’incontro con Khalil al-Hayya, a stare a quanto riporta il Timesofisrael, le pressioni israeliane: è evidente che Tel Aviv non vuole che il nodo del disarmo sia sciolto perché vanificherebbe le speranze di riprendere la mattanza in grande stile con conseguente annessione di Gaza, che la risoluzione dell’Onu, nonostante le sue tragiche pecche, ostacola.

Witkoff scraps planned meeting with senior Hamas official — diplomat

Più arduo dirimere perché sia saltato l’incontro con gli ucraini, che oggi, come da intese, si sono recati al gran completo a Istanbul, comprendendo la delegazione oltre a Umerov, anche Zelensky e Andry Yermak, il capo dello staff presidenziale, a oggi è l’uomo più potente del Paese.

Probabile che a far tentennare – fino a farlo recedere – Witkoff sia stato il caos che si è scatenato in Ucraina, dove le inchieste degli uffici anti-corruzione stanno terremotando la leadership politica.

Se è probabilmente vero che le inchieste hanno spinto la leadership ucraina a più miti consigli riguardo i negoziati con la Russia, è pur vero negli ultimi giorni sono finiti nel mirino degli inquirenti Umerov e Yermak, oltre allo stesso Zelensky, cioè quelli sui quali Witkoff (e dietro lui Trump) puntava per far procedere il processo di pace.

Insomma, non sappiamo se sia state la parte americana che sta spingendo per la pace a dare luce verde alle inchieste degli inquirenti ucraini, ma è evidente dagli sviluppi che non la controllano, anzi è più che probabile che sulle indagini attuali, o su gran parte di esse, vi sia una supervisione di quegli ambiti che non vogliono che la guerra fino all’ultimo ucraino contro la Russia finisca.

D’altronde, è risaputo Nabu e Sapo, gli organi deputati a contrastare la corruzione amministrativa e politica, avevano il compito di controllare il governo ucraino grazie alla loro eterodirezione da parte dei fautori esteri della guerra infinita.

Non sembra che l’avvento di Trump abbia modificato la tutela pregressa o, se l’ha modificata, non l’ha di certo cambiata totalmente ponendola sotto il controllo della nuova amministrazione (d’altronde, come dimostrano tante circostanze, Trump non ha il controllo neanche degli apparati del suo Paese).

Ma al di là della incertezze sulle inchieste ucraine – che pure disvelano un marciume che la Ue e la Nato, che hanno reti capillari in Ucraina, non potevano ignorare, da cui la complicità – resta che oggi il conflitto ucraino e quello che tormenta il Medio oriente avrebbero potuto conoscere un momentum di de-escalation parallelo, foriero di sviluppi positivi.

Peraltro, tale parallelismo è disvelato dalla telefonata tra Putin e Netanyahu tenuta alla vigilia del voto all’Onu su Gaza, nella quale, ora è più chiaro, i due devono aver concordato il placet di Russia e Cina al piano di pace Usa per la Striscia, peraltro forzato dall’assenza di alternative realistiche, in cambio della pace in Ucraina.

Non sappiamo se Netanyahu, che oggi si è recato in Siria in aperta sfida a Putin e a Trump – che spingono per una tutela turca sul Paese per evitarne la frammentazione su cui lavora Israele – abbia violato qualche patto segreto.

Israel’s presence in Syria of ‘immense importance,’ Netanyahu tells troops

Di certo i circoli neocon-atlantisti, ai quali il premier israeliano si rapporta, non vogliono perdere la manna dei due conflitti, che gli stanno fruttando un lucro crescente sia in termini economici che politici.

Probabile che il combinato disposto di tali forze abbia vanificato il lavorio segreto di Witkoff su Ucraina e Gaza. Oggi poteva essere un giorno di festa, invece è un dì nefasto. Tutto come prima: la macelleria lungo il confine tra Oriente e Occidente, che va dall’Ucraina al Medio oriente, prosegue in attesa di un momento più favorevole alla distensione.

A margine si può notare che l’incremento della tensione nei Caraibi, spostando l’attenzione dei media, ha reso più facile a Witkoff tenere segreta la sua azione diplomatica, condizione essenziale per la riuscita (come ben sapevano le Cancellerie di un tempo).

Ciò pone domande sulla reale sostanza della bellicosa retorica trumpiana riguardo il Venezuela. Questo non esclude un intervento armato, ché Trump potrebbe non riuscire a uscire dal tunnel nel quale si è deliberatamente cacciato, ma le domande restano.

 

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