11 Settembre 2015

Il nucleare iraniano e la svolta russa in Siria

Il nucleare iraniano e la svolta russa in Siria
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Passa, di fatto, al Senato degli Stati Uniti, l’accordo sul nucleare iraniano. Servivano sessanta voti per porre fine al filibustering, ovvero l’ostruzionismo, con il quale i senatori favorevoli all’accordo hanno messo in scacco i contrari. I repubblicani e alcuni senatori democratici avevano appunto chiesto che si votasse subito sull’accordo, ponendo fine all’azione dilatoria degli avversari. La loro proposta non ha raccolto i voti necessari: dovevano essere 60, ma ne hanno raccolti solo 58.

 

Di fatto è stata una conta decisiva (in via ipotetica sembra si possa dare un’altra possibilità, ma pare che gli sconfitti non vogliano replicare). E la conta è andata secondo i desiderata del presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama.

Tanto che i titoli dei giornali americani ne registrano la vittoria e danno l’accordo come ormai ratificato.

 

L’accordo sul nucleare iraniano è cosa fatta, quindi. E ciò accade il 10 settembre. Giorno simbolico a suo modo, perché in questi ultimi anni è diventato tragicamente simbolico il giorno successivo, quello odierno, segnato dallo sfregio delle Torri gemelle.

Ci sarà tempo di commentare, oggi basta dare la notizia, che ha rilevanza storica (e dire che nessun giornale italiano l’ha data: è arrivata di sera, certo, ma c’era tutto il tempo di aggiustare le pagine… ulteriore segno della decadenza della nostra colonia).

 

Piccolo particolare, ma forse significativo nella sua coincidenza temporale: proprio in questo giorno la Russia ha ufficializzato l’invio di armi e truppe in Siria. Che segna l’inizio di una nuova stagione di questa lunga e tormentata guerra.

 

Riteniamo, come da intervista del segretario dell’Onu Ban ki-moon, che non ci possa essere alcuna soluzione militare al dramma siriano, solo diplomatica. Ma la presenza russa, che eviterà di restare troppo coinvolta nel conflitto per non ripetere l’errore afghano, potrebbe aiutare proprio in questa direzione.

 

Finché le potenze occidentali saranno convinte che sia possibile un regime-change in Siria, grazie alla forza d’urto dell’Isis e delle altre agenzie del terrore, non prenderanno nemmeno in considerazione soluzioni che non prevedano la fine di Assad. Con la tragedia del prolungarsi del mattatoio (ironico osservare l’altra faccia della medaglia di questa Europa umanitaria che fa a gara per accogliere chi sfugge a tale mattatoio).

 

La presenza russa nel teatro di guerra cambia il quadro. Assad non sembra più sul punto di capitolare ai terroristi. Sfumato il regime-change è probabile che i tanti Paesi che hanno investito ingenti risorse per ottenere tale obiettivo (sia a livello finanziario che militare) possano ritenere inutile un ulteriore dispendio delle stesse. E iniziare a immaginare di poter trarre vantaggi diversi dalla situazione, passando attraverso un tavolo negoziale.

 

In questo senso va letta la proposta britannica rivolta recentemente a Damasco, nella quale si chiedeva ad Assad di mantenere il potere durante una breve fase di transizione, sei mesi, per poi lasciare. Proposta giudicata irricevibile dal governo di Damasco,  che ha ribadito come debba essere il popolo a decidere.

 

Al di là della piccola lezione di democrazia comminata a Londra (d’altronde le cancellerie occidentali sanno bene che le elezioni non possono che vedere il trionfo di Assad, a meno di non pensare, e puntare, su un’affermazione elettorale da parte dell’Isis), resta che un mese fa la proposta britannica era semplicemente impensabile.

 

Allora che il regime-change sembrava cosa fatta non avrebbe avuto alcun senso approcciare il governo siriano. Lo spariglio russo ha cambiato tutto. Anche per questo nei governi occidentali c’è tanta (nervosa e pericolosa) fibrillazione.

 

Nella foto, il Senato degli Stati Uniti d’America.

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