19 Gennaio 2016

La revoca delle sanzioni all'Iran: prospettive e incognite

La revoca delle sanzioni all'Iran: prospettive e incognite
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La revoca delle sanzioni all’Iran decisa sabato in conseguenza dell’adempimento di Teheran ai dettami dell’Agenzia atomica internazionale in materia di nucleare cambia tante cose: consente a Teheran di partecipare in maniera più attiva alla lotta anti-Isis; riconsegna l’Iran alla comunità internazionale dopo decenni di esclusione; rafforza la resistenza delle popolazioni sciite alle quali le forze jihadiste, anzitutto l’Isis, hanno mosso guerra; pone fine alla possibilità di un conflitto, più volte sfiorato, tra l’Occidente e la potenza sciita, che avrebbe avuto conseguenze catastrofiche per il mondo.

 

Barack Obama ha portato a compimento il suo progetto più ambizioso, vincendo terribili resistenze interne e internazionali, guadagnandosi forse un posto nella storia nonostante le tante incertezze e ambiguità su altri dossier. Se c’è un modo per riportare una qualche stabilità in un Medio Oriente squassato dai venti di tempesta questo passa appunto da Teheran.

 

L’Arabia Saudita, il maggiore sponsor delle milizie jihadiste, se da una parte ha contrastato questo esito, dall’altra, una volta realizzatosi, è consapevole che non può portare lo scontro al parossismo, pena la sua débâcle totale.

Potrebbe quindi risolversi a cercare vie di compromesso con il potente vicino, che gli consentirebbe di esercitare con maggior agio la guida del mondo sunnita, abitato da perenni contrasti, e uscire dal cul de sac nel quale si è cacciata: la dissennata politica condotta finora, caratterizzata dal sostegno ai movimenti jihadisti e dalla corsa al ribasso del prezzo del petrolio, sta depauperando le sue immense ricchezze, minandone la stabilità.

 

Un accordo più o meno esplicito tra sauditi e iraniani chiuderebbe spazi di manovra al Califfo di Ankara, Tayyp Erdogan, che ha allargato la sua nefasta influenza nel mondo arabo proprio grazie al dilagare della follia jihadista e della destabilizzazione. Anche per questo sta contrastando in maniera attiva tale eventualità, che lo spaventa almeno quanto il costituirsi di uno Stato curdo ai confini turchi.

 

Se e come tale ipotetico accordo possa favorire anche la ripresa dei negoziati tra palestinesi e israeliani, nodo gordiano del Medio Oriente, è cosa controversa, dati anche i tanti fattori esoterici ostativi. E però tale possibilità non può che trovare giovamento da una stabilizzazione dell’area circostante.

 

Insomma, l’accordo tra Occidente e Teheran apre scenari inimmaginabili, seppur nel medio e lungo periodo. Ma perché tali prospettive si realizzino l’accordo deve reggere nel breve termine, durante il quale in molti cercheranno di farlo saltare.

 

Tanto si gioca nelle prossime elezioni americane: se i candidati democratici hanno affermato di voler proseguire il cammino intrapreso, è davvero difficile che Hillary Clinton, attuale presidente in pectore, mantenga il punto, dati gli antichi vincoli con i neocon.

Nel campo repubblicano, invece, i candidati alla Casa Bianca hanno promesso che stracceranno l’accordo con l’Iran appena insediati: l’unica eccezione è rappresentata da Jeb Bush, la cui posizione appare molto più sfumata.

 

Resta l’incognita del bizzarro Donald Trump. L’attuale front runner repubblicano ha definito l’accordo «terribile», perché a suo dire consentirebbe all’Iran di dotarsi della bomba atomica. E però, invece di promettere una drastica inversione di marcia, ha affermato che, se eletto presidente, farebbe «dei controlli talmente rigidi sull’attuazione dell’accordo per cui l’Iran non avrebbe alcuna possibilità di trovare alcuna lacuna».

 

La corsa alla Casa Bianca oggi è meno prevedibile di un mese fa, dopo che la marcia trionfale della Clinton sembra aver subito una battuta d’arresto.

E diventerà ancora più imprevedibile nel caso prendesse corpo una nuova candidatura, quella dell’ex sindaco di New York, il miliardario Michael Bloomberg, che potrebbe scendere in campo come indipendente.

 

Un’ipotesi per la quale sembra si stia spendendo, anche se in maniera non esplicita (né potrebbe essere diversamente), lo stesso Obama. Circostanza, quest’ultima, che indica anche l’orientamento di Bloomberg sul tema in questione.

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