25 Dicembre 2015

Don Giacomo Tantardini: la soavità del Natale nella notte del mondo

Don Giacomo Tantardini: la soavità del Natale nella notte del mondo
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Pubblichiamo una meditazione sul Natale di don Giacomo Tantardini tenuta presso la Basilica della Beata Vergine del Santo Rosario a Fontanellato il 19 dicembre 2007. Poiché è lunga ne pubblichiamo, a malincuore, alcuni brani. Chi vuole può leggere il testo integrale cliccando qui.

 

In fondo l’unica cosa, quello che vorrei suggerire, prende lo spunto dalla lettera del Santo Padre Spe Salvi, salvi nella speranza, per dire che salvi nella speranza vuol dire salvi nella preghiera. [Come] quando il cardinal Ratzinger in alcuni esercizi spirituali che ha predicato a metà degli anni ottanta – cui ho avuto la fortuna di partecipare – ha ripetuto questa frase di S. Tommaso d’Aquino: petitio interpretativa spei/ la domanda è la voce della speranza, la domanda è l’espressione della speranza. [È] questa immagine che la speranza vuol dire la preghiera, sperare vuol dire domandare. Sperare, il dono della speranza si esprime nel domandare, la speranza vive come domanda.

 

[…] per domandare bisogna essere attratti. Non si può domandare una cosa da cui non si è attratti, non si può domandare una cosa che non si desidera. Desiderium praesuppostum spei/ il desiderio è il presupposto della speranza, così ancora S. Tommaso inizia il trattato ultimo sulla speranza.

 

[…] pensiamo ai pastori. E per pensare i pastori la notte di Natale vi leggo l’inizio del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia perché mi sembra che esprima in tutta la sua bellezza poetica la condizione di quelle persone, di quelli che erano gli ultimi, erano gli esclusi […] Ebbene Leopardi secondo me comunque descrive la condizione non solo dei pastori ma anche la condizione di ciascuno di noi – di ciascuno di noi! – se quel volto non brilla vicino. Se quel volto – se il volto della felicità, il volto umano della felicità che è il volto di Gesù, quel volto di carne che Maria gli ha dato – non brilla vicino quello che Leopardi dice del pastore d’Asia vale per ciascuno di noi. L’inizio lo conosciamo: /Che fai tu luna, in ciel? dimmi, che fai, /Silenziosa luna? /Sorgi la sera, e vai, /Contemplando i deserti; indi ti posi. /… /Somiglia alla tua vita/ La vita del pastore./ Sorge in sul primo albore/ Move la greggia oltre pel campo [sorge all’alba e muove, accompagna, guida il gregge oltre], e vede /Greggi, fontane ed erbe [e vede tante cose durante la giornata]; /Poi stanco si riposa in su la sera: /Altro mai non ispera [ma non spera che capiti qualcosa, non spera che durante la giornata capiti qualcosa. È sempre così la giornata dal mattino alla stanchezza della sera. /Altro mai non ispera/ ma questa è la condizione anche nostra, anche di chi ha incontrato, se l’incontro non è presente. Come è importante per la vita cristiana – per la vita cristiana e per poter essere vicini agli uomini fratelli di oggi che siamo innanzitutto noi – la percezione di questa precarietà della vita cristiana, che il dogma della Chiesa in questo piccolo catechismo della Chiesa di Roma del secolo V – in cui la Chiesa di Roma ha raccolto tutta la dottrina dogmatica sulla grazia – esprime in termini che sono definitivi e semplicissimi: «come per sua grazia abbiamo vinto, così se di nuovo la sua grazia non ci viene data siamo vinti». Questa è la precarietà della nostra vita – anche noi! –. /Iterum/ dice proprio /iterum/, se di nuovo non ci viene dato siamo vinti. Se quel volto non brilla di nuovo a noi anche per noi: /altro mai non ispera/. Anche per noi! Non si spera più che qualcosa accada nella giornata. Se di nuovo la sua grazia non viene data siamo vinti. Per questo la vita cristiana è in speranza cioè è in preghiera, è in domanda. In domanda di questo rinnovarsi di questo volto vicino.

 

«Così lui si è fatto piccolissimo [proprio piccolissimo, come diceva il canto che abbiam fatto: “un bimbo piccolissimo”], si è fatto [ripete ancora] /infantulus/ [che vuol dire proprio piccolo bambino, piccolo infante] perché tu possa essere uomo perfetto». Uomo perfetto! L’uomo perfetto è l’uomo che domanda. La perfezione dell’uomo è il cuore che domanda. Questa è la perfezione dell’uomo, la perfezione dell’uomo è domandare. Non può fare altro di perfetto l’uomo se non domandare.

 

Come è bello questo «ogni anima è nel potere del Signore». E come i santi soprattutto più che i peccatori hanno riconosciuto questo: che erano nelle mani del Signore. Se la sua attrattiva non li attraeva cadevano. Se la luce del suo volto non brillava erano nell’oscurità.

 

[citazione di S. Ambrogio ndr.]: «Se vuoi curare la ferita, lui è medico. Se sei febbricitante, accaldato per la febbre, lui è sorgente. Se sei appesantito per il peccato, lui è la giustizia». Come c’era nello studio di don Giussani in via Martinengo. Come era bella quella immagine dei pastori che guardavano Gesù bambino. E la scritta in latino – non me la ricordo tutta – diceva che guardandolo venivano perdonati i loro peccati. Guardandolo venivano perdonati. Guardando quel bambino! Era quel bambino il perdono dei loro peccati. «Se hai bisogno di aiuto, lui è la forza. Se hai paura della morte, lui è la vita. Se desideri il paradiso, lui è la strada. Se fuggi le tenebre, lui è la luce. Se cerchi il cibo, lui è il cibo. Gustate e vedete quanto soave è il Signore». Quanto soave! Dice il dogma della fede, del Vaticano I, che la fede è impossibile senza la grazia di Dio, senza la grazia dello Spirito Santo che dà la soavità nel riconoscerlo e nell’aderirlo. Senza questa soavità, senza questa dolcezza né lo si riconosce né vi si aderisce.

 

[citazione s. Ambrogio] /Veni ergo, Domine Iesu,/vieni dunque Signore Gesù, cerca il tuo servo. Cerca questa pecora spossata. Vieni pastore, cerca. [E poi c’è la frase più bella] /Erravit ovis tua, dum tu moraris,/mentre tu attendevi la tua pecorella si è smarrita. Se tu attendi, se tu indugi noi ci smarriamo. Mentre tu indugiavi noi ci eravamo smarriti. /Dimitte/ lascia le novantanove pecore nell’ovile. Vieni a cercare quella sola che si è perduta. [Poi dice] Vieni senza i cani, vieni senza i cattivi operai, vieni senza i mercenari [anche questo come è attuale. Vieni senza i mercenari] che non entrano per la porta che sei tu. [Poi dice] /Veni sine adiutore,/vieni senza intermediari […], vieni /sine nuntio,/vieni senza neppure essere annunziato, è già tanto che ti attendo. Vieni improvvisamente senza essere neppure annunziato, è già tanto che aspetto, che aspetto che tu venga. Vieni senza la verga. Vieni con affetto e con tenerezza. /Ad me veni/ [e poi aggiunge] vieni a me che sono incorso nei morsi dei lupi. Vieni a me che sono stato scacciato dal paradiso e che sono tentato dal veleno del serpente per la ferita del peccato [è bellissimo questo. Per la ferita del peccato io sono continuamente tentato dal veleno del serpente]. /Quaere me, quia te requiro;/cercami perché ti cerco, [meglio] perché ti possa cercare. /quaere me, inveni me, suscipe me, porta me/cercami, trovami, sostienimi, rialzami, portami. Tu mi puoi trovare, tu mi puoi rialzare, tu mi puoi portare sulle tue spalle […] /Veni ergo, Domine/vieni dunque Signore. Vieni, perché se anche sono fuggito lontano, se anche sono andato lontano non ho dimenticato i tuoi comandamenti [e anche questo è bello. Non ho dimenticato. Non ho dimenticato di ripetere. Come da questo punto di vista è insostituibile il santo rosario! Di ripetere! Magari anche nella distrazione così che si offre anche l’umiliazione delle tante distrazioni. Di ripetere! Io non ho smesso di ripetere l’Ave Maria. Con l’Ave Maria non ci si può perdere. Non ho smesso di ripetere l’Ave Maria]. Vieni, o Signore, solo tu mi puoi ricondurre. [E poi qui è bello] […]. /Veni ergo, et quaere ovem tuam/Vieni dunque e cerca la tua pecorella […] /Suscipe/prendimi in braccio per Maria, da Maria [è bellissimo /suscipe me ex Maria/]. Prendimi in braccio da Maria che è vergine incontaminata, /sed virgo per gratiam/ma è vergine per tua grazia. Perché per tua grazia è preservata [dice /integra ab omni labe peccati/], per tua grazia non è mai stata toccata dal peccato».

 

Vieni pure in ritardo, non importa se sei in ritardo. Vieni di notte, non importa se vieni dalla notte del peccato. In qualunque ora tu vieni /Iesum venientes ad suscipiendum paratum/ troverai Gesù che è pronto a riceverti. In qualunque ora tu vieni troverai Gesù che è pronto a riceverti. E non ti darà una felicità minore se vieni in ritardo. Colui che è venuto la prima ora [è la parabola degli operai] non è stato defraudato e colui che è venuto all’ultima ora ha ricevuto la stessa pienezza, la stessa pienezza di felicità. Vieni, vieni anche [non solo in ritardo ma vieni anche] di notte, anche dalla notte del peccato. Anche Nicodemo è venuto di notte. /Nox erat quia adhuc non erat ressurectio/ Era notte perché Gesù non era ancora risorto».

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