6 Dicembre 2013

Impressioni da Roma (trittico)

Impressioni da Roma (trittico)
Tempo di lettura: 2 minuti

 

 

Ostia, la stella di mare; foto di Massimo Quattrucci, testo di Fabio Pierangeli.

 

Il mare di Roma, da Ostia a Anzio. La stella polare. I tratti di sentieri di pini, sottratti al cemento. La pineta mediterranea, l’odore di resina. Luoghi cari dall’infanzia, i sapori di un certo forno, i biscottini, quasi la madaleine proustiana. Il mio paesaggio del cuore. Alcuni dei miei raccontini sono ambientati in quella striscia tra mare e cielo. Questo, in particolare che introduceva Occhi, occhiali e Paradiso, piaceva molto a don Giacomo Tantardini. Perché, piuttosto che la nostalgia degli incontri umani e dell’infanzia nel tempo che corre (il fiammeggiante ricordo di Proust o di Pavese) vi leggeva il dono di un incontro (ne riparleremo alla prossima immagine di Roma…).

 
 

Il Faro del tempo

 

Dormì sogni e realtà stupende anche se l’indomani sarebbe partito.

Così, cercava di afferrare, terminava il manoscritto dell’infanzia. Un vago ricordo, i confini di un viaggio, la prima esperienza di un mare limpido e roccioso.

Forse era una fantasia che rincorreva nell’attimo della memoria. Di questo manoscritto nulla restava: tanto cercato nelle casse e nei ricordi, nei ritagli cianfrusagliati sparsi nella stanza di lettura.

L’aveva mai scritto?

Un tocco di poesia struggente gli sembrò il mondo dell’infanzia. Un manoscritto perduto. E il mondo dei padri e quelle terre che sembravano – allora – lontane.

Con occhi vigili gli sembrava di aver capito, in quell’ultimo viaggio dell’infanzia (a Capo Vaticano, il faro che come un prisma diradava e scomponeva il tempo e che rubava alla luce e alle stelle, all’orizzonte, un po’ di potenza), che nulla poteva girare e non capire il senso utile intorno a questo mondo. Da piccolo cercava, inconsapevolmente, un grido e una parola. E aveva avuto la fortuna di incontrare delle guide, come quel piccolo pesce colorato alle cattedrali di rocce lontane di cui si raccontava nella storia perduta. Mai scritta? E il padre che l’aveva portato a guardare terre distanti e le luci e la vita che si ripete da un frastaglio all’altro della costa. Gli aveva insegnato meraviglie.

La sua vita aveva cercato uno spiraglio, guardando all’indietro.

Coincidenze e miracoli, sbocchi incantati e porte aperte.

Il sapore di quel forno, ad Anzio, accanto al mare dove si aspettavano i dolci appena freschi.

Tutto durava l’intreccio di una fantasia.

Quello che aveva incontrato da grande invece si voleva misurare con il tempo e mantenere la felicità sorpresa dietro ogni simbolo.

Doveva sovrastare anche la morte.

Finalmente non di un sogno si trattava ma di una realtà viva e incontrata.

Una certezza che il tempo della convivenza confermava, allungava nei minuti, comprava e dilatava, più dell’immaginazione perduta, il sapore andato dell’infanzia.

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