Gaza: il nodo del recupero delle salme degli ostaggi defunti
Tempo di lettura: 4 minutiLa criticità della restituzione dei corpi degli ostaggi defunti da parte di Hamas, che procede a rilento, è brandita da Israele per riprendere le ostilità. Infatti, sta facendo pressione sugli Usa per denunciare la violazione degli accordi e avere il via libera in tal senso e/o per procrastinare i tempi della fase due dei negoziati e ritagliarsi spazi di manovra per sabotare l’intesa in altro modo.
Per frenare l’attivismo israeliano urge che il team composto da militari americani, turchi, egiziani e qatarioti, dotato di “attrezzature ingegneristiche” messe a disposizione da Doha, giunto a Gaza per le operazioni di recupero, inizi a lavorare.
È una corsa contro il tempo. Mentre Tel Aviv continua a contestare, Hamas ripete che il recupero è reso difficile dalla devastazione che, oltretutto, ha cancellato tutti i punti di riferimento, rendendo ancora più arduo localizzare i luoghi in cui erano detenuti gli ostaggi. E aggiungendo che alcuni non erano prigionieri loro, ma di altre milizie islamiche, i cui membri sono stati falcidiati.
Di interesse, una nota di Amos Harel su Haaretz: “Lo staff del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è consapevole delle difficoltà tecniche che caratterizzano le operazioni di ricerca a Gaza e non è disposto a sfruttare l’incapacità di Hamas di soddisfare le aspettative per dichiarare il congelamento della seconda fase dell’accordo”.
“[…] I messaggi giunti in Israele dagli Stati Uniti negli ultimi due giorni sono estremamente chiari: Trump è determinato a continuare a implementare l’accordo e si considera l’autorità finale per decidere se le parti stanno rispettando gli obblighi”.
Cenno che riprende più avanti, ampliandolo: “Nel suo discorso alla Knesset di lunedì, Trump ha trasmesso a Israele alcuni messaggi chiave […]. Dal punto di vista del presidente, la guerra è finita, Israele ha vinto e ora è il momento di raccogliere i frutti diplomatici. Poi, nel corso della settimana, ha affermato che avrebbe preso in considerazione la possibilità di consentire alle Forze di Difesa Israeliane di riprendere i combattimenti nella Striscia se Hamas non avesse rispettato i propri impegni […]. Questo fa parte della nuova realtà che il governo israeliano si sforza di nascondere all’opinione pubblica: il controllo di Gaza e la gestione del processo diplomatico del dopoguerra sono stati sottratti a Israele”.
“Le Forze di Difesa israeliane controllano ancora il 53% del territorio della Striscia, dopo essersi ritirate entro la linea gialla delienata nell’accordo, ma si tratta di una situazione temporanea. L’alleanza di interessi tra Stati Uniti e mediatori (in particolare la Turchia) influenzerà il corso degli eventi futuri”.
“[…] Le IDF hanno ridotto considerevolmente le loro forze nella Striscia. Prima del cessate il fuoco, vi operavano cinque quartier generali di divisione, schierando circa 10 brigate. Quel numero è diminuito e la maggior parte dei riservisti è stata messa in congedo”.
“[…] L’entità dei danni subiti da Gaza, nascosti all’opinione pubblica israeliana attraverso una copertura mediatica selettiva, ma rivelata in certa misura al mondo dai giornalisti palestinesi della Striscia, diventerà evidente quando ai media occidentali sarà consentito l’ingresso a Gaza […] Si prevedono giorni di trasmissioni dalle rovine, sullo sfondo di un continuo susseguirsi di corpi estratti dalle macerie e dall’aggiornamento del numero di persone uccise a Gaza”.
“Questa settimana il governo si è crogiolato nell’irriducibile dimostrazione di sostegno” ostentata da Trump. “Ma la verità è che Israele, con la sua ostinata insistenza nel prolungare la guerra per due anni e con la violenza indiscriminata scatenata a Gaza in risposta al massacro del 7 ottobre, ha semplicemente distrutto i resti del sostegno occidentale al Paese”.
Tante criticità rimangono per la seconda fase, nella quale si dovranno decidere molte cose, anzitutto come garantire la sicurezza della Striscia, che dovrebbe essere appannaggio di una forza formata da Paesi arabi e musulmani e probabilmente forze palestinesi della Cisgiordania.
L’alternativa è che resti appannaggio di Hamas, cosa che Netanyahu non accetterà mai, da cui la ripresa del conflitto. Nel corso di tale processo dovrebbe avvenire il disarmo di Hamas, nodo cruciale, perché la milizia ha un atteggiamento non lineare anche per le criticità imposte dalle manovre israeliane e dalla presenza nella Striscia di milizie islamiche create da Tel Aviv.
Sull’ultimo punto, va accennato che hanno causato legittimo scandalo i video che ritraggono i miliziani di Hamas mentre giustiziano alcuni membri di tali bande, filmati che secondo molti confermano la disumanità dell’organizzazione.
Si dimentica la storia, nella quale tali regolamenti di conti sono purtroppo usuali. Basti pensare, mutatis mutandis, al redde rationem seguito alla fine del fascismo, con 1.958 fascisti e collaborazionisti nazisti uccisi nella sola Emilia Romagna e 2.363 in Piemonte, per citare un report del ’45, non esaustivo. E l’Italia non aveva conosciuto gli orrori di Gaza né i vincitori avevano a che fare con bande armate fasciste attive sul territorio.
Non che le esecuzioni di Gaza siano accettabili, solo non fotografano una disumanità peculiare di Hamas, ma qualcosa di più comune e di certo non aliena a Israele, come dimostrato dal genocidio. Ciò detto, Trump, dopo aver accennato alla “pericolosità” delle bande che imperversano a Gaza, come ricorda Harel – di fatto legittimando le esecuzioni – ieri ha dovuto correggere il tiro intimando ad Hamas di fermarsi, pena reazioni.
Detto questo, la nota di Harel appare ottimistica sulla tenuta del cessate il fuoco. L’abbiamo ripresa non perché condividiamo appieno tale ottimismo, quanto perché il cronista ha fonti nell’establishment israeliano, che evidentemente lo condividono. Rafforza speranze.
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