2 Ottobre 2025

Il Dipartimento della guerra Usa prende di mira Venezuela a Iran

di Davide Malacaria
Il Dipartimento della guerra Usa prende di mira Venezuela a Iran
Tempo di lettura: 3 minuti

L’inconsueta riunione dei massimi vertici dell’esercito americano di tutto il mondo, indetta dal Capo del Pentagono Pete Hegseth, ha allarmato il pianeta, spingendo gli analisti a chiedersi se gli Stati Uniti si preparassero a intraprendere una guerra su larga scala.

L’amministrazione Trump, per bocca del vicepresidente Vance, ha gettato acqua sul fuoco, spiegando che Hegseth, un civile che non ha nel suo bagaglio proficui rapporti con i militari chiamato a guidare,  voleva avviare un rapporto che non aveva con tanti di essi.

Secondo alcuni analisti Maga, il vertice aveva anche uno altro scopo: dare inizio a una purga che allontanerebbe alcuni dei convenuti dai loro posti. Un ricambio ritenuto necessario per stornare dalla stanza dei bottoni alcuni alti gradi che ancora rispondono ai vecchi padroni, peraltro critici della nuova gestione. Anche nell’esercito, quindi, si starebbe realizzando quanto accaduto nell’amministrazione pubblica statunitense. E il tenore dei discorsi tenuti da Heseth e Trump, che non ha resistito alla tentazione di intervenire, ha confermato tale analisi.

‘Peace Through Strength

E però, al netto di queste spiegazioni, il tono bellicoso usato nell’occasione da Hegseth non rassicura affatto. Non tanto l’esortazione a essere “preparati alla guerra”, che a tale scopo si esercitano tutti gli eserciti del mondo, quanto la reiterazione del concetto che la pace si realizza “attraverso la forza“, un’idea che appartiene alla religione neoconservatrice e che già tanti danni ha fatto in giro per il mondo.

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Un nuovo approccio muscolare al mondo che tanti osservatori avevano rilevato già quando Trump aveva deciso di cambiare il nome del dicastero che supervisiona l’esercito, da dipartimento della Difesa a dipartimento della Guerra.

Ma, in realtà, quel cambiamento era solo un artifizio retorico, in linea con la megalomania del presidente, artifizio che ha solo tolto il velo all’ipocrisia stridente di un imperialismo che ha da tempo scelto la forza per interagire con il mondo.

Altro è, appunto, l’assunzione delle parole d’ordine neocon da parte della nuova gestione, peraltro in un momento in cui gli Usa stanno schierando forze in Sud America, preparando qualcosa di oscuro contro il Venezuela (invasione o regime-change), e muovono “un’imponente ondata di KC-135 Stratotanker”, aerei cisterna, verso il Medio oriente, com’è avvenuto prima della recente guerra Iran – Israele.

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Così il disimpegno – relativo – dell’Impero dal conflitto ucraino, un problema che riguarda le colonie, più che aprire finestre di opportunità a una distensione globale interrompendo la lunga catena sanguinaria delle guerre infinite, sembra dover preludere a un riorientamento della Forza imperiale verso obiettivi meno ostici della Russia.

Ma se è vero che il Venezuela è un obiettivo relativamente facile (dove quel relativamente nasconde insidie per gli eventuali aggressori), altra cosa è l’Iran. Lo ha chiarito, peraltro, il presidente Pezeshkian, il quale, in una conferenza tenuta a New York a margine dell’Assemblea delle Nazioni Unite con esponenti dell’establishment Usa avversi a un conflitto con Teheran, ha affermato che il suo Paese si aspetta un prossimo attacco, che “sicuramente avrà luogo”, aggiungendo: “L’Iran non è Gaza. L’Iran non è il Libano. L’Iran non è la Siria. L’Iran è qualcosa di diverso”. Si noti che il riferimento specifico è a Israele, che in caso di attacco subirà le conseguenze del caso.

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Ciò detto, non è affatto sicuro che gli Usa relegheranno il conflitto ucraino alla sola Unione europea, che sta tentando in tutti i modi di far sì che prosegua e si ampli. Tante le spinte all’interno degli States per proseguire sulla via tracciata dalla presidenza Biden. Per ora, però, l’amministrazione Trump tiene il punto, anche perché un impegno più profondo verso Kiev gli limiterebbe la libertà d’azione altrove.

Tornando dall’Ucraina al Venezuela e all’Iran, se davvero gli Stati Uniti saranno conseguenti a tali preparativi, sarà interessante leggere o ascoltare politici, analisti e giornalisti che, all’epoca dell’invasione ucraina, obbiettavano ai loro antagonisti la formula magica che vede una necessaria distinzione tra aggressori e aggrediti, formula che, se messa in discussione nel più che complesso caso ucraino, toglieva agli interlocutori il diritto di parola.

 

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