1 Settembre 2025

Il genocidio di Gaza: non un fallimento dell'Occidente, bensì un suo successo

di Davide Malacaria
Il genocidio di Gaza: non un fallimento dell'Occidente, bensì un suo successo
Tempo di lettura: 4 minuti

“Le politiche e le azioni di Israele a Gaza soddisfano la definizione legale di genocidio contenuta nell’articolo II della Convenzione delle Nazioni Unite per la prevenzione e la punizione del crimine di Genocidio”. Così l’International Association of Genocide Scholars (IAGS), la più autorevole associazione internazionale di studi sul genocidio.

Non che ci potessero essere dubbi in merito – al netto dei sostenitori del genocidio stesso, in Israele e altrove, o delle tesi dei tanti che, non potendo sostenere tale impossibile posizione, si affannano a sminuire le responsabilità israeliane affermando che la risposta al 7 ottobre è sproporzionata con annessi crimini di guerra, ma non è un genocidio – resta però importante ribadire che a Gaza c’è un genocidio in atto.

Non cambia nulla, né nell’immediato né forse nel breve (e forse neanche nel lungo periodo), ed è per questo che anche tanti genuini critici di Israele tendono a evitare tale nodo, come se non rivestisse importanza.

Invece è importante, eccome. Perché riguarda l’impunità della quale ha goduto Israele nei decenni passati, con licenza di uccidere e opprimere e rubare terre e beni palestinesi sempre più ampliata negli anni. Un’impunità ad ampio spettro, con eccezioni residuali, che gli ora gli permette di fare quel che sta facendo.

Tale impunità deriva dal genocidio subito, dalla costruzione di una responsabilità collettiva di tale genocidio, che dalle nazioni reprobe della Seconda guerra mondiale ha via via coinvolto a vario titolo anche quelle che reprobe non erano e i discendenti degli autori dell’orrido crimine.

Ed è questo il danno che più teme l’intellighenzia e la politica israeliana, che il genocidio attuale, ove fosse riconosciuto dalla comunità internazionale, gli tolga lo scudo del genocidio subito che gli ha conferito tale impunità, cioè tanto potere. Questo spiega la reazione rabbiosa e le critiche feroci, non solo in Israele, contro chi usa tale termine.

Inutile sgranare nel dettaglio i crimini elencati nel documento dell’IAGS, che nell’insieme costituiscono il quadro che identifica un genocidio, più utile riferire che vi si ribadisce l’urgenza che la comunità internazionale agisca, “perché la società civile internazionale ha la responsabilità di prevenire il genocidio incoraggiando e assistendo gli Stati a rispettare i loro obblighi ai sensi della Convenzione sul Genocidio per prevenire, sopprimere e punire il genocidio”.

La sollecitazione trova il tempo che trova, ma condanna l’attuale leadership occidentale, con pochissime eccezioni, come corresponsabile del genocidio, sia attraverso il sostegno immediato, palese o occulto, sia nell’impedire il contrasto da parte di altri Paesi, in particolare i Brics, perché coscienti che il sostegno occidentale si alzerebbe di livello fino a dar vita a uno scontro globale.

Sulla Home del sito dell’IAGS una citazione di Philip Gourevitch alquanto interessante, che abbiamo approfondito. Recensendo un libro di Gourevitch dedicato al genocidio del Ruanda, Imre Szeman ne sintetizza una conclusione che, partendo da quello, ricostruisce il quadro nel quale si consumano i genocidi. 

A Global Membership, A Common Goal

Nel rigettare la tesi che il genocidio ruandese sia stato possibile perché si trattava di popoli arretrati e che la razionalità dominante in Occidente renda impossibile che sia protagonista di una tale deriva, Szeman osserva che “per Gourevitch, la chiave per comprendere il genocidio ruandese è prendere coscienza che ‘la violenza di massa… deve essere organizzata: non avviene senza scopo. Anche le folle e le aggressioni di massa devono avere un progetto, e una distruzione grande e duratura richiede grande ambizione‘. In altre parole, non è un evento che può essere descritto da ‘teorie che vedono all’opera una follia collettiva, una mania di massa, un odio febbrile sfociato in un crimine passionale di massa’”.

“Uccidere con il machete [com’è avvenuto in Ruanda ndr] è un lavoro arduo; osservando un uomo che macellava una mucca con un machete, Gourevitch commenta che ‘ci sono voluti molti colpi – due, tre, quattro, cinque colpi duri – per tagliare la zampa della mucca. Quanti ne servono per smembrare una persona?’. Uccidere ottocentomila persone con il machete in cento giorni richiede un piano d’azione chiaro e un’ideologia saldamente consolidata che guidi tale azione, al fine di continuare il duro lavoro di uccisione una volta avviato“.

“In altre parole, il genocidio ruandese richiede un’analisi politica, oltre a quelle che si concentrano sui fattori psicologici (o psicoanalitici) o sociologici che trasformano le masse in assassini feroci. ‘Il genocidio, dopotutto, è un esercizio di costruzione di una comunità’, scrive Gourevitch, ed è solo osservandolo come tale che è possibile giungere alla comprensione delle sue cause”. Allo stesso modo spiegare il genocidio di Gaza solo come un prodotto di una follia messianica è errato.

Peraltro, si tratta di un lavoro duro anche a Gaza, fatto di attacchi diretti a causare vittime di massa, sfollamenti di massa, e poi “torture, detenzioni arbitrarie e violenza sessuale e contro la riproduzione; di attacchi deliberati contro medici, operatori umanitari e giornalisti” a cui si aggiunge “la privazione delberata di cibo, acqua, medicine ed elettricità essenziali per la sopravvivenza”, come sgrana il documento dell’IAGS. Solo per citare alcuni degli orrori di Gaza.

Interessante anche la denuncia di Gourevitch sull’insabbiamento del genocidio ruandese, che fa il paio con l’attuale: “I rapporti che prevedevano gli eventi imminenti, presentati dai comandanti dell’UNAMIR (Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Ruanda) e dalle agenzie umanitarie internazionali, sono stati minimizzati o ignorati; rapporti simili presentati dalle agenzie di intelligence sono stati sommariamente insabbiati dai governi a cui erano stati inviati”.

Folgorante la conclusione, anch’essa così attuale: “Mentre il genocidio ruandese è stato descritto da molti come un fallimento politico, Gourevitch è pronto a evidenziare che si tratta in realtà di un fulgido esempio di iniziativa politica internazionale di successo: gli Stati Uniti e le Nazioni Unite erano determinati a non fare nulla e non l’hanno fatto“. Nel caso attuale, l’Onu non è complice, anzi, solo impotente di fronte all’iniziativa di successo degli Usa e delle sue colonie europee. Ci torneremo.

 

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