Il mondo sospeso al vertice tra Putin e Trump in Alaska

Domani il vertice Trump – Putin ad Anchorage, in Alaska. Tante le analisi e le asserite rivelazioni giornalistiche su quel che accadrà, alcune geniune, altre volte a inquadrare il summit in una cornice oscura, come se un dialogo per facilitare la pace sia qualcosa da evitare, mentre proseguire un conflitto che sta mietendo vittime da oltre tre anni è cosa buona e giusta.
Certo, la richiesta di ricomprendere l’Ucraina nelle trattative è legittima – anche se finora Zelensky, obbedendo ai suoi sponsor, ha fatto fallire tutte le iniziative diplomatiche – ma ciò deve avvenire quando e se si creerà un quadro entro il quale siano minimizzati i rischi di sabotaggio.
Sabotaggio al quale, dopo lo sbandamento iniziale, si stanno adoperando attivamente le forze che hanno alimentato questa guerra, usando, al solito, i succubi Paesi della Ue.
Tra le analisi più interessanti, quella di Strana, centrata sul tema cruciale dei negoziati: la possibilità di accettare il controllo di Mosca su parte dei territori ucraini.
Secondo Strana, se Zelensky accetta potrebbe affrontare un’altra Maidan, stavolta contro di lui, contro la quale non avrebbe difese. Allo stesso tempo, riporta Strana, “c’è un altro punto di vista, secondo il quale le aspettative di una rivolta in caso di ritiro delle truppe dalla regione di Donetsk sono esagerate” perché la leadership ucraina è consapevole che la situazione precipiterebbe se rigettasse un “piano Trump”, costringendola ad accettare “condizioni di pace peggiori in futuro. Pertanto, in determinate circostanze, le autorità potrebbero decidere di ritirare le truppe dal Donbass se ciò fosse legato a un cessate il fuoco”.
Da questo punto di vista, conclude Strana, anche le accuse di tradimento delle quali sarebbe investito Zelensky sarebbero “per lo più calcolate in vista delle future elezioni” più che per incidere su eventuali accordi.
Interessante anche quanto riporta sugli ambiti nazionalisti (che fanno riferimento a Svoboda o all’Azov e hanno un peso notevole in Ucraina): le reazioni di tali ambiti alla possibilità di cedere territori in cambio della pace è stata “più cauta” del passato, pur non mancando i moniti a non tradire la patria etc.
Peraltro, alcuni leader della fazioni armate ultimamente stanno accarezzando l’idea di gettarsi in politica: potrebbero cioè accettare di deporre i mitra per indossare giacca e cravatta seguendo le orme del presidente siriano Ahmad al-Shara.
Insomma, secondo Strana, esistono margini per cui la leadership ucraina possa accogliere il tentativo in atto. Certo, tutto si decide al di fuori dell’Ucraina, cioè nel braccio di ferro che in Occidente contrappone il partito della guerra alle forze che vogliono chiudere il conflitto, ma sembra che queste ultime stavolta abbiano leve anche in Ucraina (il fatto che il 69% degli ucraini voglia che il conflitto finisca presto non conta nulla per i fautori della guerra).
Infine, sempre su Strana, un commento interessante sulla decisione di Zelensky di aprire le frontiere ai giovani sotto i 22 anni, finora chiuse: potrebbe essere un modo per “addolcire la pillola del ‘tradimento’ consumato con la cessione di territori”.
Da notare che in questi giorni le forze russe hanno sfondato il fronte nei pressi di Pokrovsk, mandando nel panico gli ucraini. Rimandando a Strana per i dettagli, riportiamo l’analisi dell’esperto militare della Bild Julian Repke: “Nelle prossime ore, si deciderà il destino del 29% della regione di Donetsk che rimane sotto il controllo ucraino”.
“Secondo Repke – sintetizza Strana – le forze armate ucraine hanno diversi giorni per respingere la minaccia sull’agglomerato di Slavyansk-Kramatorsk prima che la Federazione Russa vi dispieghi droni e unità meccanizzate” che consolideranno l’acquisizione.
Se non bloccheranno i russi “le ultime due grandi città del Donbass – Slavjansk e Kramatorsk – rimarranno tagliate fuori dal Dnepr e potranno ricevere rifornimenti solo attraverso Kharkov. L’Ucraina ‘difficilmente riuscirà a mantenere il controllo della regione a lungo termine’. Infatti,’continueranno e accelereranno” gli sfondamenti, sezionando il fronte e portando a “ulteriori perdite di territorio ‘”.
Non è un caso che la conquista russa del Donbass si sia accelerata a ridosso del summit: Mosca segnala che l’Ucraina ha tutto da perdere se la guerra prosegue. Inoltre, offre a Trump la possibilità di rivendicare l’eventuale accordo come un successo personale, avendo strappato la vittoria dalle fauci dei russi.
Né va dimenticato che Mosca ha annunciato che a settembre si svolgerà per la prima volta un’esercitazione militare con gli Oreshnik, i missili di nuova generazione non intercettabili ed estremamente distruttivi anche quando non armati con testate nucleari. Un monito anche per gli ufficiali Nato che supervisionano, sul terreno, l’esercito ucraino: non sono più al sicuro.
Non sappiamo se il summit produrrà qualche esito sul fronte ucraino, ma è di interesse quanto comunicato dall’ambasciata Usa in Ucraina, cioè che Washington è pronta a tenere un nuovo incontro con Mosca per eliminare gli “elementi di disturbo” nelle relazioni bilaterali.
A funestare il summit, un alluvione causato dallo scioglimento di un ghiacciaio dal nome sinistro, bacino Suicida, che ieri ha minacciato la capitale dell’Alaska, Juneau. Non è la prima volta che accade, ma stavolta era da “record“. Tanta paura, cittadini evacuati, ma per fortuna gli argini eretti a valle hanno retto. In caso di disastro, difficilmente Trump avrebbe potuto partecipare all’incontro organizzato nello stesso Stato.
Infine, due note di colore, ma non troppo: 1) in vista del summit la Tv russa ha trasmesso una puntata della docu-serie The unknown war, co-produzione sovietico-americana sull’invasione nazista della Russia, rilanciando l’antica collaborazione contro il comune nemico; 2) la diocesi ortodossa di Sitka e Alaska ha chiesto a clero e fedeli tre giorni di preghiere per la pace (non abbiamo rinvenuto analoga iniziativa della diocesi cattolica di Anchorage-Juneau, forse in ambasce per l’alluvione…).
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