30 Luglio 2015

Il mullah Omar fa danni anche da morto

Il mullah Omar fa danni anche da morto
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Il Mullah Omar, leader e icona dei talebani afghani, è stato dichiarato ufficialmente morto (sarebbe accaduto due anni fa). La notizia giunge inattesa e, nonostante le apparenze, rischia di far danni. In questi giorni, infatti, si stava concretizzando una trattativa tra il governo afghano e i talebani teso a trovare una via di uscita al conflitto che da anni abita il Paese.

 

Ne scrive Franco Venturini in un commento pubblicato sul Corriere della Sera il 30 luglio: non può essere un caso, spiega il cronista, «che la prima conferma ufficiale della morte del mullah Omar sia giunta nell’immediata vigilia di un appuntamento ritenuto cruciale tra i negoziatori ritenuti vicini al presidente afghano Ashraf Ghani da un lato e rappresentanti talebani dall’altro. L’incontro previsto in Pakistan tra oggi e domani, non è il primo del suo genere, ma dovrebbe segnare – se si terrà – l’apertura di una trattativa vera e propria con richieste reciproche e dichiarazioni di intenti […] A favore del negoziato si sono adoperati, oltre agli stessi americani, la Norvegia, il Qatar, e più di tutti la Cina, da sempre molto influente in Pakistan e ora anche in Afghanistan, ispiratrice di un riavvicinamento tra Kabul e Islamabad».

 

L’accordo insomma era a portata di mano, ma «la morte a scoppio ritardato del mullah Omar, vale a dire della bandiera unitaria dei talebani, può significare una cosa soltanto: che le divisioni interne al movimento rappresentano un ostacolo sempre più arduo da superare, che l’azione di reclutamento svolta dall’Isis sta progredendo, che in definitiva i tempi non sono maturi per il conseguimento di reali progressi».

 

Nota a margine. Simpatico rilevare come in questi anni il mullah Omar abbia continuato a diramare i suoi messaggi: da quando il terrorismo si è fatto mediatico e virtuale (ma con morti ammazzati reali), capita anche questo. E capiterà anche in futuro, magari per i capi dell’Isis o di Al Nusra secondo le occorrenze del momento. Ma sono sottigliezze. 

 

Nel caso specifico il morto che parlava negli ultimi tempi aveva preso le distanze dall’Isis. Così la notizia della fine del teatrino probabilmente porterà acqua al mulino del Califfato, che da tempo tenta di mettere solide basi in Afghanistan. Questo Paese è il cuore del grande gioco asiatico, come ben sapeva Kipling. All’Isis (e ai suoi padroni) serve prendere dimora stabile in questo Paese, dal quale è facile portare attacchi alle altre nazioni asiatiche (sia direttamente sia intessendo collegamenti con le reti jihadiste locali), dalla Cina alla Russia, dall’India al Pakistan.

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