2 Luglio 2019

Incidente su un sommergibile russo: allarme a Mosca...

Incidente su un sommergibile russo: allarme a Mosca...
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Poco o nulla oggi sui media, a parte le solite analisi e tormentoni (la Capitana Karola… sarebbe bene tornare al silenzio sul tema).

Ma c’è da registrare l’annullamento inatteso della visita del vicepresidente Usa Mike Pence nel New Hampshire – minimizzata via twitter dall’interessato, ma non spiegata.

E la parallela, quasi contemporanea, cancellazione, anch’essa non spiegata. di un appuntamento da parte di Putin, che a quanto pare si è precipitato a incontrare il Ministro della Difesa Sergej Shoigu.

Si ipotizza che il motivo del ripensamento di Putin sia l’incidente occorso a un sottomarino russo: almeno 14 marinai sarebbero rimaste vittime di un incendio scoppiato a bordo. Giorno di imprevisti, insomma.

Si tenga presente che l’incidente al vascello subacqueo russo ha un triste precedente, ovvero l’affondamento del sottomarino nucleare Kursk nel mare di Barents, avvenuto nell’agosto del 2000, all’inizio del primo mandato presidenziale di Putin.

Una tragedia che ferì al cuore la Russia, dato che fu dolorosa e disperata l’attesa di un impossibile salvataggio, che mai avvenne. Tutti i 118 membri dell’equipaggio morirono assiderati nel profondo.

Una tragedia anche simbolica. Da poco Boris Eltsin aveva lasciato il timone in favore del giovane agente del Kgb Vladimir Vladimirovic Putin, che dovette confrontarsi subito con un incidente di percorso di portata epocale (ricordava, per alcuni versi, la tragedia di Chernobyl, oggi tornata in auge per una serie di successo americana, anche se certo fu meno devastante di quella).

L’incidente occorso al Kursk aveva in sé anche una portata simbolica: l’affondamento di quel sommergibile nucleare stava a indicare che l’apparato militare russo, spina dorsale della nazione, era ormai fatiscente e preda della consunzione.

Da qui il significato simbolico: l’affondamento della grande potenza russa, avvenuto sotto l’inetta presidenza di Boris Eltsin, era ormai irreversibile. La prospettiva aperta dalla nuova presidenza Putin era fuoco fatuo. Anch’essa era affondata, insieme al Kursk, nel mare di Barents.

Non andò così, anche se la risalita dall’abisso, per la Russia, è stata ardua e faticosa. E certo la notizia di un incidente simile a quello di allora deve aver causato un brivido sulla schiena anche al freddo Putin.

Detto questo, tutto è ancora da vedere. C’è chi ipotizzò, al tempo, che il Kursk fosse stato colpito da un siluro sparato da un sommergibile straniero. Retroscena che fu ovviamente smentito. Ma l’ipotesi di allora, per un qualche riflesso condizionato, torna alla mente in questo giorno strano.

Allora la Russia non avrebbe mai potuto reagire a un possibile attacco, dato che sarebbe stata incenerita in pochi istanti. Oggi è diverso. E ciò potrebbe procurare, e spiegare, un possibile allarme rosso alla Casa Bianca.

Tutte suggestioni, ovviamente. L’incidente sarà chiarito in fretta, le vittime saranno piante. E tutto finirà presto.

Resta da capire se e come l’incidente inciderà sulla criticità globale, già alimentata dalla notizia odierna proveniente dall’Iran, che ha annunciato di aver superato la soglia di arricchimento stabilita per l’uranio delle sue centrali.

C’è una  forte spinta affinché l’Occidente reagisca e agisca contro Teheran. Finora tutto è sopito, anche per l’attutimento delle tensioni registrato al summit di Osaka, durante il quale Putin e Trump di certo hanno parlato sul tema.

Un attutimento che ha avuto anche un risvolto simbolico: l’allontanamento del bellicoso John Bolton dall’orecchio di Trump, spedito in Mongolia mentre il presidente Usa incontrava Kim Jong-un per risolvere un’altra criticità legata al nucleare.

Un distacco salutato da un articolo del New York Times di Michelle Goldberg, rimasto a lungo in evidenza e segnalato tra i più letti. Un articolo dal titolo significativo: “La benvenuta umiliazione di John Bolton“.

Ma questo era oggi, domani chissà. “A ogni giorno basta la sua pena”.

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