12 Aprile 2021

Iran: l'intelligence israeliana manda in tilt il sito di Natanz

Iran: l'intelligence israeliana manda in tilt il sito di Natanz
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L’intelligence israeliana ha messo a segno un attacco all’impianto nucleare di Natanz, nel cuore dell’Iran. Non ha rivendicato ufficialmente, come al solito, ma i media israeliani e internazionali non nutrono dubbi in proposito.

A essere colpite sono state le centrifughe usate per arricchire l’uranio, con grave rischio di una fuoriuscita di materiale radioattivo, per fortuna evitata.

Teheran, a differenza di quanto avvenuto per l’attacco a una sua petroliera avvenuto nei giorni scorsi, non può derubricare la cosa a questione secondaria.

Non può esimersi, cioè, dal denunciare ad alta voce l’attacco, dato l’obiettivo sensibile e il disastro che poteva procurare: una fuga radioattiva, peraltro, avrebbe inevitabilmente provocato una risposta militare.

La guerra segreta che si sta consumando in Medio oriente sta prendendo pieghe sempre più rischiose, né si vede come possa essere frenata.

I media israeliani non possono non elogiare il grande successo militare della loro intelligence, che avrebbe conseguito il risultato di ritardare di nove mesi lo sviluppo della bomba atomica iraniana.

Ma il vero obiettivo dell’attacco, al solito, non è tanto il nucleare iraniano, ma i cruciali colloqui su questo tema avviati la scorsa settimana a Vienna, dove Iran e Stati Uniti hanno fatto i primi passi per ripristinare l’accordo sull’atomica iraniana.

Colloqui indiretti, cioè mediati dall’Europa, ma che avevano dato frutti, come da ammissione di entrambe le parti.

L’attacco a Natanz, in questo senso, è esploso come una bomba sotto il tavolo dei negoziati, che riprenderanno a breve. Lo scrive il New York Times che, nel riferire l’accaduto, spiega che i colloqui di Vienna non sono affatto facili, e dopo l’attacco “potrebbero essere diventati ancora più difficili”.

Per tre motivi. Anzitutto perché alimentando le tensioni tra Tel Aviv e Teheran si allargano anche le distanze tra quest’ultima e Washington, stretta alleata di Israele.

In secondo luogo perché rende più fragile l’ala moderata degli iraniani, quella interessata a negoziare, incalzata dai duri e puri che ritengono del tutto inutile trattare con una controparte sulla quale non si può fare alcun affidamento.

Il terzo motivo è che l’Iran, dopo l’uscita di Washington dal trattato, aveva iniziato ad arricchire uranio per far pressione sull’America, per costringerla al dialogo.

Tale arricchimento, cioè, più che una questione militare ha uno scopo politico: è una leva per costringere Washington a trattare (peraltro, usata anche da Washington per spiegare ai suoi riluttanti alleati che il negoziato è l’unica via di uscita da questo incubo).

“L’analista della Difesa di Channel 13 Alon Ben-David – scrive sul punto il Timesofisrael – ha affermato che il danno a Natanz potrebbe minare la leva dell’Iran nei colloqui con gli Stati Uniti”.

L’attacco, se vero che ha ritardato lo sviluppo della bomba atomica di nove mesi, toglie anzitutto quella leva, ma indica anche che per evitare l’atomica iraniana si può percorrere anche un’altra strada, quella militare.

Per questo, invece, le autorità iraniane hanno affermato che il danno sarà riparato a breve, anzi al posto delle vecchie centrifughe ne metteranno altre di nuova generazione, in grado di velocizzare l’arricchimento (Tansim).

Importanti, da questo punto di vista, le parole del ministro degli Esteri Javad Zarif: “Pensano che raggiungeranno il loro obiettivo. Ma i sionisti otterranno come risposta [al loro attacco] un incremento dello sviluppo del nucleare”.

“L’Iran – ha aggiunto – non cadrà nella trappola che gli è stata tesa, ritirandosi dai colloqui che potrebbero ottenergli la revoca delle sanzioni unilaterali imposte dagli Stati Uniti” (al Jazeera).

Ma quanti hanno in mente l’idea di sabotare i colloqui, in America come in Israele, hanno dalla loro il tempo. La strategia è alquanto chiara: rendere il dialogo infruttuoso, ponendo condizioni che Teheran non può accettare, come ad esempio chiedere che smetta di arricchire sic et simpliciter l’uranio prima di revocare le sanzioni o che essa rinunci, in tutto o in gran parte, al suo programma missilistico.

E più il dialogo va per le lunghe, più c’è tempo per sabotarlo, sia reiterando azioni militari, sia alimentando l’opposizione politica allo stesso, in America come in Iran, sia, infine, aggiungendo nuove condizioni inaccettabili.

Non solo, tra nove mesi a Teheran si terranno le elezioni: se l’accordo non sarà chiuso entro tale scadenza, i moderati rischiano di soccombere agli intransigenti; e con Teheran in mano ai falchi non ci sarà più spazio per un dialogo e la parola passerà alle armi.

Sempre che ciò non accada prima. “L’analista della Difesa di Channel 12 Ehud Ya’ari – scrive, infatti, Timesofisrael – ha affermato che, a causa delle fughe di notizie del Mossad sui media ebraici, nelle quali [l’intelligence] si assume la paternità dell’incidente di Natanz, ‘Ci stiamo avvicinando al momento’ in cui Teheran non avrà altra scelta che rispondere con un attacco militare”.

Allo stesso tempo, Ya’ari fa notare che queste operazioni non hanno avuto alcun impatto sullo sviluppo dell’atomica di Teheran, infatti, “nonostante le varie battute d’arresto attribuite a Israele, l’Iran ha continuato a fare progressi con il suo programma nucleare”.

Ciò vuol dire che in realtà non esiste una via militare per frenare tale sviluppo che non sia una guerra aperta. Guerra che non vedrebbe coinvolta la sola Israele, dato che dovrebbe intervenire giocoforza anche l’America, con quel che ne consegue per la pace del mondo.

 

 

 

 

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