30 Luglio 2022

Kaplan e l'elogio del realismo politico

Bill Clinton ad Aviano con il generale Clark ed il presidente del senato Scognamiglio. Kaplan e l'elogio del realismo politico
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Il realismo in politica, come in politica estera, è diventato merce rara, essendo la politica dell’Impero e delle sue propaggini europee ormai consegnata all’idealismo, almeno nelle sue declinazioni essenziali. E come il realismo si associa, nella sua azione, al pragmatismo, l’idealismo si declina nel cinismo più bieco, dal momento che deve forzare e distorcere la realtà per renderla conforme e tentativamente imprigionarla all’ideale (e all’ideale di una parte).

Da qui la logica e la legittimazione previa e successiva dell’esportazione della democrazia tramite bombe e l’idea che per porre fine al conflitto tra Ucraina e Russia l’unica via percorribile sia quella di inviare più armi possibile a Kiev e via dicendo (gli esempi in tal senso sovrabbondano).

Così l’articolo di Robert Kaplan pubblicato sul National Interest che elogia il realismo in politica e ne spiega la necessità appare una perla rara.

La nota è dedicata a spiegare la diversità tra due linee di pensiero affermatesi nell’ambito politico-analitico statunitense votate ambedue al realismo politico.

Arduo declinare in italiano le linee guida delle due correnti. Per semplificare si può parlare di una corrente moderata, che vorrebbe un ordine internazionale basato sull’equilibrio dei poteri dei vari attori geopolitici, e di una corrente che vorrebbe conservare la premiership globale all’America attraverso una politica estera più realistica, denunciando come l’idealismo neocon e liberal, che pure ha lo stesso obiettivo, in realtà stia erodendo tale primato.

Nulla importando, al momento, tale distinzione, come in fondo non importa all’estensore della nota – il quale spiega che ambedue le prospettive concorrono a frenare in qualche modo l’aggressività di neocon e liberal – riportiamo l’incipit dell’articolo, nel quale Kaplan declina l’idea di fondo del realismo politico.

E lo declina riprendendo quanto scritto da Henry Kissinger nel libro A World Restored: Metternich, Castlereagh and the Problems of Peace 1812-1822: “‘Ogni uomo di stato deve tentare di conciliare ciò che è considerato giusto con ciò che è considerato possibile'”.

“Ciò che è considerato giusto – commenta Kaplan – dipende solo dai propri valori, ma ciò che è considerato possibile dipende non solo dalle risorse a nostra disposizione, ma anche dalle risorse e dai valori degli stati contrapposti”.

“In altre parole, non sempre riusciamo a trovare la nostra strada in un mondo complesso e ingestibile. Questa potrebbe essere una delle più utili definizioni, spiegata con la massima chiarezza possibile. Una definizione correlata è incarnata nel ‘particolarismo’ di George F. Kennan”.

“Il particolarismo si oppone ai valori universali e alle regole di pseudo-diritto che li sostengono, e implicitamente accetta il mondo così com’è, con tutte le sue differenze culturali e filosofiche, differenza che richiedono strategie d’approccio diverse”.

“Dal momento che il realismo è consapevole della grande diversità del mondo, è stato tradizionalmente amico degli specialisti: gli arabisti, i sinologi e altri, la cui profonda e specifica conoscenza culturale ha sostenuto approcci particolari alle diverse regioni e rigettano le strategie universalistiche applicabili a tutti”.

In realtà la nota di Kaplan ha lo scopo di giustificarsi di fronte ai neocon, secondo i quali il realismo coincide col disfattismo perché non asseconda il suo approccio ad alzo zero verso il mondo. Con tale nota Kaplan intende cioè dire che gli interessi dell’America e la conservazione del primato del mondo abbisogna di un approccio diverso, quello della sua corrente di pensiero.

Utile a contrastare i neocon, la prospettiva di Kaplan non esce però dai ristretti orizzonti dell’eccezionalismo americano per la pretesa leadership globale; eccezionalismo che, tra l’altro, è linfa vitale anche del pensiero cui si contrappone ed è peraltro un ideale anch’esso astratto e del tutto arbitrario, se non una vera e propria pazzia di stampo suprematista. Difetto che non ha la corrente più moderata, che vorrebbe che gli Stati Uniti siano un Paese come altri, come dovrebbe essere al netto della follia di cui sopra.

Essendo la corrente cui aderisce Kaplan di certo peso, il comune obiettivo riguardo al primato Usa spiega perché quando il Congresso è chiamato a esprimersi su questioni riguardanti la guerra vota sempre più o meno compatto. E però resta che la nota di Kaplan evidenzia un dibattito in atto in seno alle élite americane.

E come la prospettiva dei neocon, che sta portando il mondo nell’abisso, sia messa in discussione in nome di un ritorno al realismo politico, in ogni caso preferibile alla loro follia.

Corrente minoritaria all’interno delle élite, negli ultimi anni ha preso sempre più piede, in particolare in ambito repubblicano, giovandosi dei disastri prodotti da neocon (e liberal) in America e nel mondo.

Ps. Sulla totale convergenza tra neocon e liberal si può notare come la guerra in Jugoslavia, sfoggio muscolare successivo alla prima guerra del Golfo di un’America che reclamava la leadership globale, sia stata fatta sotto la presidenza Clinton.

 

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