30 Ottobre 2017

La disfida della Catalogna

La disfida della Catalogna
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Il commissariamento della Catalogna da parte del governo di Madrid è stato apparentemente soft: non la nomina di commissari ad hoc, cosa che avrebbe comportato contestazioni locali ai nuovi arrivati da parte della folla e del personale dell’amministrazione catalana, ma un passaggio di competenze dai singoli dicasteri regionali a quelli nazionali.

Detto questo, la piazza ancora ribolle, mentre la giustizia fa il suo corso contro i leader ribelli, inseguiti da mandati d’arresto che, pur se giustificati dalla legge, rischiano di incendiare gli animi.

Gli indipendentisti, per parte loro, pare studino la possibilità di un governo in esilio. Roba da operetta se non fosse per la drammatizzazione degli eventi a cui non è estranea la rigidità di Madrid, che forse oggi è inevitabile, ma dovrà pur evolvere in una soluzione politica se si vogliono mettere a posto le cose.

Tutti da scoprire gli sviluppi di questa vicenda. Ma una cosa va rilevata. A tirare le fila del commissariamento della Catalogna è stata chiamata Soraya Sáenz de Santamaria.

Non è un caso, secondo Omero Ciai: «Soraya ha costruito tutta la sua carriera politica in ascesa nel centrodestra spagnolo sulla vicenda catalana», scrive il cronista sulla Repubblica del 29 ottobre: «Fin da quando, nel 2000, è diventata prima consigliere giuridico di Rajoy – allora ministro del governo Aznar – e poi responsabile delle politiche territoriali del partito popolare».

«Fu lei», prosegue Ciai, «dal 2006, a guidare, e infine a vincere, la battaglia giudiziaria contro il nuovo Statuto dell’autonomia che allargava, di molto e in senso federalista, le competenze amministrative della Generalitat catalana».

«Il tribunale costituzionale le diede in gran parte ragione cancellando articoli importanti di un testo che era già stato votato dal Parlamento – allora a maggioranza socialista – e, in un referendum, dalla Catalogna».

«Così nel centrodestra la giovane Soraya […] divenne la custode ideologica del centralismo spagnolo».

Donna di potere e in carriera, probabile prossima leader del Ppe, a lei si deve un «errore», ricorda ancora Ciai, ovvero «la figuraccia del 1° ottobre quando non riuscendo a evitare, come promesso, l’apertura dei seggi per il referendum illegale in Catalogna, chiese alla polizia di occuparsene provocando il noto disastro di immagine».

Insomma, dare alla Sáenz questo incarico è stato come mettere una volpe a guardia di un pollaio. Perché anche tanti catalani non indipendentisti sono però convinti della necessità di un’autonomia regionale. E potrebbero vedere il commissariamento come una ulteriore stretta in senso centralista.

Non solo: dal momento che la donna si sta giocando tutto il suo futuro politico sull’immagine di custode del centralismo, potrebbe essere meno incline a concessioni in senso autonomistico-federalista, forse l’unica strada per risolvere questo conflitto.

Insomma, la nomina sembra più un prodotto di una resa dei conti tra Madrid e Barcellona che una misura necessaria, anzi inevitabile, per evitare una disastrosa quanto illegittima secessione.

Non sembra cioè aiutare nell’opera di una più che necessaria riconciliazione nazionale; piuttosto sembra riecheggiare quella reconquista che appartiene alla storia spagnola. Possibile che non c’era vicino a Rajoy o altrove un nome più spendibile?

Eppure il governo di Madrid, dopo il disastro del 1º ottobre che ha confuso torti e ragioni (vedi Piccolenote), si era dimostrato ragionevole nel proporre ai catalani di indire nuove elezioni regionali per sbloccare l’impasse conseguente all’ambigua dichiarazione di indipendenza.

Possibile che il governo voglia usare la mano dura per eliminare dal campo di gioco indebiti estremismi per poi riannodare il filo di un dialogo con protagonisti meno estremi.

In realtà quello espresso è più un auspicio che una registrazione del dato, che ad oggi presenta solo la rigidità di chi vuol chiudere a breve la partita, sbaragliando l’avversario in difficoltà.

Una rigidità pericolosa, dal momento che in una tempesta non conviene tenere sempre, e nonostante tutto, la barra del timone diritta: si rischia di far rovesciare la nave.

 

 

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