24 Maggio 2019

La May tramonta a maggio

La May tramonta a maggio
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Le dimissioni di Theresa May dominano le prime pagine mondiali. Mossa ovvia, che avevamo anticipato, ma che cade in un momento particolare, ovvero dopo lo svolgimento del voto britannico, dato che qui le elezioni europee si sono tenute giovedì, in anticipo rispetto ad altri Paesi (che voteranno domenica).

I risultati della consultazione britannica non sono ancora noti, dato che saranno resi pubblici con gli altri per evitare indebite influenze, ma si possono intuire da un cenno del Guardian: “I sondaggi suggeriscono che i Tories si stanno dirigendo verso il peggior risultato elettorale della loro storia e potrebbero addirittura essere ridotti a una percentuale a una sola cifra”.

È alquanto ovvio che tali risultati, ignoti ai più, siano però noti ai pochi, tra cui la May, che, avendo preso atto dell’ancor segreta débacle, ha imboccato l’uscita di sicurezza per evitare il pubblico ludibrio.

Onore delle armi per una figura politica che ha dato prova di una tempra più che battagliera, resistendo a rovesci che avrebbero travolto i più.

Caratteristica che però, miscelandosi a una invero scarsa lucidità e a una estrema rigidità, ha prodotto il disastro che è sotto gli occhi di tutti: anni di trattative con la Ue andati in fumo, con grave nocumento alla possibilità di una Brexit concordata.

I suoi tanti avversari, soprattutto interni, brindano. Ma il futuro resta incerto, dato che le sue dimissioni saranno effettive dal 7 giugno e non è ancora chiaro se sarà designato un successore senza passare per le urne o se si andrà a elezioni, come da richieste dei laburisti (più difficile).

Il cammino della Brexit si allunga, dato che per iniziare eventuali nuove trattative occorrerà che si dipani il processo politico di cui sopra. Perché si dia un negoziato, infatti, serve un nuovo governo e un nuovo premier.

Trattative che dovranno ricominciare più o meno da zero, dato che nessun successore della May si arrischierebbe e portare all’approvazione del Parlamento inglese un accordo con l’Unione europea che riprenda quelli concordati dalla May, tutti sonoramente bocciati.

Sempre che il nuovo premier non imbocchi decisamente la via della Hard Brexit, che da tempo si defila all’orizzonte ed è sempre più probabile.

Ma anche per questo sviluppo ci vuole tempo, ed è probabile che, prima di abbandonare l’Unione, il futuro leader faccia almeno un tentativo di accordo.

La rottura netta senza una qualche pantomima formale sarebbe alquanto disdicevole dal punto di vista dell’immagine internazionale. Poco british.

Intanto, la profezia di Nigel Farage – il brexiteer duro e puro che col suo nuovo partito anti-Ue presumibilmente ha fatto il pieno di voti – sui tories: due leader Tory pro-UE sono caduti. Adesso “o il partito impara la lezione o muore”.

May in inglese significa maggio, mese nel quale conclude la sua burrascosa quanto inutile carriera. Non lascia rimpianti. Dispiace per la donna, che ha avuto la sfortuna di prendere il governo del veliero inglese nel cuore di una tempesta perfetta.