Le banche Usa chiedono le politiche anti-crisi del 2008
Tempo di lettura: 2 minutiGreg Baer, Francisco Covas e Bill Nelson, rispettivamente amministratore delegato, capo economista e direttore della ricerca del Bank Policy Institute, la lobby delle banche Usa, chiede che il governo americano adotti misure analoghe a quelle varate nel 2008 per contrastare la crisi che si abbatté in quell’anno sugli Stati Uniti d’America, dilagando presto in tutto il mondo.
Un appello si potrebbe dire ufficiale, pubblicato sul blog del BPI, che è stato lanciato per rispondere alla criticità che l’epidemia da coronavirus pone agli istituti di credito e alla finanza.
La nota, infatti, scrive Axios, “mostra quanto il settore bancario sia preoccupato per l’impatto del COVID-19”.
Si può dire che la crisi economico-finanziaria – o quantomeno una recessione -, temuta e annunciata (Piccolenote), è iniziata, nonostante ancora i segnali in tal senso siano solo agli inizi, con la caduta dell’indice Dow Johns e il calo precipitevole delle banche asiatiche avvenuti la scorsa settimana.
La criticità aumenterà con l’aumento dei casi di coronavirus negli Stati Uniti, inevitabile ora che è stato annunciato un piano per fare tamponi ai cittadini, quasi un milione di test, secondo il New York Times.
Il virus, usato finora come una clava per mettere alla berlina altri Paesi – dapprima per fiaccare l’antagonista globale cinese e accrescere la già massima pressione sull’Iran, poi per additare come untrice la sventurata Italia, che si è trovata inguaiata per prima -, in realtà era già arrivato negli Usa come altrove, solo non lo si è cercato, come invece è stato fatto in CIna, nel nostro Paese e in pochi altri Stati.
Con i test, emergerà la dura realtà di un’epidemia più diffusa di quanto appaia ora: anche se potrebbe essere ancora impedita la pandemia, secondo l’Oms ciò è ancora “fattibile” (Xinhua), il contrasto riguarderà tutti, come anche le conseguenze sull’economia.
E rivelerà la vacuità delle strategie di contenimento adottate finora, ovvero limitarsi a tagliare voli e visite da e per i Paesi additati come epicentri di focolai.
Strategie che, additando il problema come altrui, hanno consentito ai leader di Stati apparentemente non interessati al virus di evitare controlli e di mettere in pratica azioni di prevenzione e contrasto, sia a livello sanitario che economico-finanziario.
La crisi coronavirus è criticità globale, e come tale va affrontata, non solo dall’Oms, che finora si è mosso in modo congruo, ma anche dagli esponenti politici che sono stati posti alla guida delle nazioni.