24 Agosto 2013

Siria: la guerra si può fermare solo con la diplomazia

Siria: la guerra si può fermare solo con la diplomazia
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Sulla Stampa del 24 agosto, Roberto Toscano si interroga su un possibile intervento Occidentale a fianco delle forze anti-Assad. In particolare, si sofferma sulla posizione  di Barak Obama, il quale, nonostante le pressioni – aumentate dopo l’impiego di gas tossici nel conflitto – continua a prendere tempo. Diversi, secondo Toscano, i dubbi del Presidente Usa. Anzitutto si vuole avere la certezza che a usare i gas siano state effettivamente le forze di Damasco, da qui la necessità di un’inchiesta indipendente; ma a frenare il Presidente sono anche gli esiti disastrosi dei recenti interventi occidentali nel mondo arabo: dalla Libia, “liberata” da Gheddafi, ma preda dell’anarchia causata dalla milizie armate, all’Iraq, sconvolto da un feroce scontro tra sciiti e sunniti. Infine, in Obama suscita non poche perplessità la prospettiva di combattere Damasco fianco a fianco con Al Qaeda, le cui milizie formano il nerbo delle forze anti-Assad.

Conclude Toscano: «E allora, andiamoci piano a criticare Obama, e in particolare ad ironizzare sul suo richiamo alla necessità di un’azione della comunità internazionale condotta sul piano politico-diplomatico e non militare. 

Il punto di partenza è che né Assad né i ribelli possono pensare di prevalere sul terreno militare, e di conseguenza la prosecuzione dello scontro militare può soltanto portare alla devastazione del Paese.  

Si devono coinvolgere nella soluzione gli Stati che appoggiano materialmente, e non solo politicamente, le due parti in lotta: da una parte Russia e Iran, e dall’altra Arabia Saudita, Turchia, Qatar. Solo loro, e non certo un’America e un’Europa prive di strumenti reali, potranno convincere le parti dell’inevitabile rinuncia al loro obiettivo massimo di eliminazione totale dell’avversario e accettare un compromesso, che dovrà probabilmente comportare, fra l’altro, l’uscita di scena di Assad ma non dell’attuale regime, e garanzie alle minoranze (alawiti, cristiani) che temono il prevalere delle tendenze sunnite più radicali. 

Un cammino difficile, ma certo meno disastroso e in fondo più realista di quello di un’internazionalizzazione, con un intervento americano ed europeo, dello scontro militare».

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