7 Novembre 2019

Trump e la «resistenza» del Deep State

Trump e la «resistenza» del Deep State
Tempo di lettura: 4 minuti

“Noi siamo la resistenza”, con questo titolo, alcuni giorni fa, il New York Times ha sdoganato il Deep State americano, composto da intelligence, sicurezza, funzionari pubblici e altro e più oscuro, che sta muovendo guerra a Donald Trump.

Non una “cabala”, recita il titolo del NYT, ma funzionari che servono quell’America che il tycoon prestato alla politica sta tradendo.

Sono proprio gli esponenti di questi apparati (anche se non tutti) a portare prove e testimonianze contro Trump, accusato di varie nefandezze, tra cui la controversia ucraina che potrebbe avviare una procedura di impeachement.

Testimonianza e sospetti

Testimonianze e documentazioni rivendute dai principali media americani come prove schiaccianti delle responsabilità di Trump, anche le meno convincenti, anche le più sospette, come quella che vede un testimone chiave della vicenda ucraina legato, per motivi professionali, a uno dei candidati democratici alla Casa Bianca nelle presidenziali del 2020, come rivelato da Michael Atkinson, ispettore generale della Comunità dell’intelligence (Axios).

Sui media si sta ripetendo quando avvenuto nel 2016, quando tutti i quotidiani e i siti più autorevoli si sono schierati a favore di Hillary Clinton contro Trump.

Basta leggere i giornali americani, New York Time e Washington Post in testa, che ogni giorno scodellano almeno una ventina di articoli contro il presidente, con opinionisti e analisti che ne denunciano le derive autoritarie, si dicono scandalizzati dalla sua rozzezza, lo additano come traditore etc…

Una campagna martellante, quotidiana, che punta a screditare Trump in vista delle elezioni del 2020, anche se l’impeachement, come oggi probabile, non andasse in porto.

Un’onda anomala che usa del partito democratico, i cui esponenti stanno materialmente portando avanti le indagini alla Camera, ma che nasce altrove.

Deep state: Bolton convitato di pietra

Così sul Daily Beast: “In conversazioni occasionali con consiglieri e amici, il presidente Trump ha manifestato sospetti sul fatto che dietro il diluvio di accuse contro di lui ci sia un ‘dispettoso’ John Bolton, il suo ex consigliere per la sicurezza nazionale e noto falco”.

Bolton, peraltro, è stato pubblicamente in contatto col comitato inquirente tramite suoi avvocati. Apparentemente per negoziare una sua possibile testimonianza, che pare alla fine abbia rifiutato (gli uomini dell’ombra destestano uscire allo scoperto), ma probabilmente per dare suggerimenti e indicazioni agli inquirenti.

Sui legami tra il neocon Bolton e il Deep State la letteratura è ampia ed è inutile rincorrerla. La guerra dei neocon e del Deep State alla presidenza nasce dalla necessità di bloccare la prospettiva di Trump di un ritiro degli Usa dal mondo.

Come è stato evidente a seguito della sua decisione di ritirare le truppe dalla Siria, quando le critiche a Trump sono giunte al parossismo (da venti articoli critici al giorno si era passati a trenta).

Tanto che il presidente ha dovuto fare marcia indietro e lasciare truppe in Siria, a presidio del petrolio siriano. Ciò perché peraltro rischiava di alienarsi anche le potenti compagnie petrolifere che lo sostengono (perché sta facendo dell’America il primo esportatore di petrolio al mondo). Sostegno che non può perdere in vista delle elezioni del 2020, già molto difficili.

Trump e la «resistenza» del Deep State

Insomma, Trump deve far fronte a un attacco a tenaglia, i cui manovratori occulti sono neocon e liberal clintoniani.

La sinistra democratica e le guerre infinite

La sinistra democratica è attivamente coinvolta in questo gioco, anche se concorda con Trump sulla necessità di porre fine alle guerre infinite in cui i suoi avversari hanno impelagato l’America e il mondo.

Da qui l’interesse di comprendere come evolverà la lotta nel campo democratico, se cioè la sinistra avrà il solo compito di portare acqua al mulino di neocon e clintoniani o riuscirà a smarcarsi.

Il compito di Bernie Sanders e dei suoi colleghi radicali è ancora più arduo di quello di Trump, dato che rischiano di fare la fine degli “amici del giaguaro”.

Pericolo del quale sono peraltro ben consapevoli, come dimostrano le loro durissime critiche alle incursioni della rediviva Hillary Clinton nell’agone politico.

E però la debolezza del campo democratico, che vede troppi pretendenti al trono senza un vero e proprio front runner, oltretutto tutti in difficoltà, a stare agli analisti, in un eventuale testa a testa con Trump, offre nuove chanches alla Clinton (Washington Post).

Mentre in passato aveva escluso un suo ritorno, oggi a chi le domanda, stante le insistenti richieste e voci in proposito, dà risposte interlocutorie. E se il confronto tra i candidati democratici continuerà a non farà emergere un leader, il suo ritorno sarà quasi inevitabile.

Clinton vs Trump sarebbe la rivincita del 2016, sconfitta che lei e i suoi hanno sempre negato, stante che la vittoria di Trump sarebbe illegittima. In questa ottica, l’idea che il Deep State e i neocon oggi si definiscano “resistenza” assume un significato più stringente.

L’illegittima presidenza dell’usurpatore Trump, la sua inaccettabile pretesa di cambiare volto all’Impero americano e di porre fine alle guerre infinite è una parentesi che deve essere chiusa, ad ogni costo e con tutti i mezzi.

 

Mondo
22 Luglio 2024
Ucraina: il realismo di Haass