18 Luglio 2016

Turchia: il golpe non era finto

Turchia: il golpe non era finto
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«”No, non è stato un golpe ‘finto’ […] Non bisogna dubitare di un tentativo in cui hanno osato bombardare il Parlamento e il Palazzo presidenziale. È stato un reale tentativo di colpo di Stato». Così Car Dündar, direttore del quotidiano Cuhmuriyet.

La smentita della narrazione del golpe finto, che sarebbe stato inscenato da Recep Tayyp Erdogan per far fuori i suoi nemici, ricostruzione nella quale sono cadute tante persone in buona fede, viene da fonte degna di credito.

Dündar non è certo un fan di Erdogan, anzi è stato duramente perseguitato per aver accusato le autorità turche, e lo stesso Presidente, di traffici con il terrorismo jihadista in Siria.

Le parole di Dündar sono state riportate da Sara Gandolfi per il Corriere della Sera del 18 luglio, in un’intervista nella quale il giornalista si dice preoccupato per la reazione postuma di Erdogan, che potrebbe schiacciare ancora di più le voci dissidenti.

Un’intervista nella quale accenna anche allo sconcerto per la reazione dei leader europei a quanto stava avvenendo in Turchia: «Hanno aspettato [a condannare i militari ndr.] finché è stato chiaro che il colpo di Stato era fallito: l’ennesimo comportamento vergognoso».

 

Nota a margine. Situazione caotica quella scatenata dal fallito golpe. Anche se certi articoli che condannano l’arresto di migliaia di soldati suonano alquanto bizzarri: sarebbe avvenuto lo stesso in qualsiasi altro Paese del mondo.

E in molti Paesi occidentali, vedi ad esempio gli Usa, i capi golpisti sarebbero stati giustiziati, come forse avverrà anche ad Ankara, dato il reato del quale si sono macchiati.

Con questo non si vuol giustificare la repressione, che in Turchia rischia di essere sfrenata e indiscriminata (è il caso di dire “mammaliturchi”), solo accennare alle dinamiche, purtroppo usuali, di questo povero mondo.

Il colpo di Stato, al contrario di quanto sembri, ha indebolito Erdogan, che ora deve dimostrare, all’interno e all’esterno, di aver ripreso saldamente le redini del potere.

Anche perché, come accenna Robert Fisk in suo articolo, il rischio di un altro putsch, stavolta vincente perché meno improvvisato, incombe. Da qui anche la durezza della repressione.

Tra l’altro alta è la probabilità che si inneschi l’ennesimo giro di vite anche contro la dissidenza politica (e i curdi in particolare), che pure ha denunciato subito i militari (da qui il bombardamento indiscriminato del Parlamento da parte dei “golpisti democratici”).

Di certo, Erdogan sta cogliendo l’occasione del golpe per fare piazza pulita dei sostenitori di Fetullah Gulen, suo ex sodale esule negli Usa e ora acerrimo nemico, al quale ha ascritto il golpe. Un repulisti attuato secondo liste di proscrizione  evidentemente stilate da tempo.

Ma vanno anche prese in considerazione, contraddizioni del momento, le parole di Egemen Bagis, consigliere di Erdogan, intervistato sulla Repubblica del 18 luglio da Marco Ansaldo.

Bagis, dopo aver elogiato la denuncia dei militari da parte dei partiti di opposizione, ha aggiunto: «Le scene di unità che vediamo oggi in Parlamento ci indicano con chiarezza che le pene sofferte sono le doglie di una nuova Turchia, dove verrà lanciata una nuova piattaforma di dialogo». Sarà vero? Vedremo.

Momento fluido per l’Anatolia, e rischioso a tutti i livelli. Con la variante terrorista pronta a entrare in gioco. Difficile prevedere gli sviluppi, stante anche l’imprevedibilità e la spregiudicatezza del sultano di Ankara.

Val la pena anche segnalare che, subito dopo il fallito golpe, l’agenzia di stampa turca Anadolu ha dato la notizia della telefonata tra Putin ed Erdogan, annunciando ad agosto un incontro tra i due.

Insomma, il putsch potrebbe aver rafforzato la virata a Est del sultano (della quale ci siamo occupati nella postilla relativa al fallito golpe turco).

Evidentemente il presidente Erdogan pensa che i pericoli alla sua permanenza al potere provengano da Ovest. Simbolico in tal senso l’arresto del generale Bakir Ercan Van, uomo di peso nella Nato, a capo della base aerea turca di Incirlik, che è stata data in uso agli Stati Uniti d’America.

Ma la Turchia non può permettersi margini di libertà eccessivi rispetto alla linea Nato. Il rischio che si accrescano ancora di più le turbolenze interne, in un Paese fin troppo funestato da spinte centrifughe e centripete, è alto.

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