26 Luglio 2016

Turchia: i messaggi dei golpisti

Turchia: i messaggi dei golpisti
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«Il maggiore Karabekir intima: “Travolgeteli, inceneriteli. Nessun compromesso”. Un corteo marcia verso i ponti del Bosforo. Il maggiore Aygar comunica di averne “abbattuti venti o trenta”. Il generale Duzenli chatta: “trasmettere l’ordine di fare fuoco sulla folla. Quelli che sono sotto tiro si disperderanno”». Questi alcuni messaggi che alcuni golpisti si scambiavano durante la lunga notte della Turchia, nella quale i militari hanno tentato di rovesciare Recep Erdogan.

A rivelare i messaggi il sito di giornalismo investigativo Bellincat, ripreso da Gianluca di Feo per la Repubblica del 26 luglio.

 

Nell’articolo spiega che a guidare l’assalto sono stati tre reggimenti della Forza di intervento rapido della Nato, «reparti abituati ad agire sotto comando americano nelle missioni internazionali – continua di Feo -, soprattutto in quella afgana dove i battaglioni turchi hanno un ruolo chiave. Per questo non sorprende che i giornali vicini al presidente Erdogan ora accusino proprio l’ultimo generale statunitense al vertice dell’operazione Nato a Kabul: John F. Campbell». Le accuse, ovviamente, sono state respinte al mittente.

 

Nota a margine. Interessante spaccato del “golpe democratico“, salutato da tanti intellettuali, giornalisti e leaders politici occidentali come foriero di una nuova stagione di giustizia e libertà per la Turchia, prima ovviamente che la reazione vincente delle forze lealiste li convincesse a esprimere solidarietà al Presidente eletto.

 

Tempo di epurazioni nel Paese, dove prosegue lo smantellamento della rete di Fethullah Gulen, sorta di Opus dei islamica, avversario di lungo corso dell’attuale regime. A tale rete fanno capo, secondo quanto rivela il Fatto Quotidiano, «15 università, 19 sindacati, 1.043 tra scuole private e dormitori studenteschi, 1.229 fondazioni e associazioni e 35 ospedali e istituzioni sanitarie». 

 

Insomma, non sarà un processo indolore. E si accompagna ad arresti massicci in ambito militare, per scoraggiarne ulteriori iniziative contro il Paese (ancora più che possibili).

Il rischio che la situazione degeneri è alto, anche se ad oggi non si sono registrati quei bagni di sangue paventati nei giorni successivi alla vittoria di Erdogan.

 

Suscita grande controversia in Europa la possibile reintroduzione della pena di morte, cosa che il presidente turco sembra intenzionato a fare. Ma, nella speranza che ciò non avvenga, occorre ricordare che eventuali recriminazioni europee contro Ankara cadrebbero nel vuoto. Anche perché tale pena, nel caso di persone coinvolte in un colpo di Stato, è alquanto diffusa. Ad esempio è prevista negli Stati Uniti d’America.

 

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