5 Gennaio 2021

USA: domani la ratifica, contestata, di Biden

USA: domani la ratifica, contestata, di Biden
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Domani è giorno topico per la geopolitica: il Congresso degli Stati Uniti deve ratificare la nomina del nuovo imperatore d’Occidente, Joe Biden. Prassi normale in passato, stavolta è diverso perché l’imperatore in carica, Trump, non ha alcuna intenzione di cedere il passo, contestando nel merito la sua vittoria elettorale, che ritiene viziata da immani brogli, come denuncia in ogni occasione.

Il problema è che, al di là della veridicità o meno delle accuse, i suoi collaboratori non gli hanno spiegato bene come si elegge l’imperatore d’Occidente: non importano i fatti né è questione di legge, è questione di forza. E lui forza non ne ha affatto.

L’establishement del suo partito, infatti, costretto a sostenerlo durante il mandato per la sua grande popolarità tra gli elettori, ora che ne ha la possibilità, lo sta scaricando.

Lo dimostra l’ultimo scandalo che lo vede protagonista: il Segretario di Stato della Georgia, repubblicano, ha resa pubblica una conversazione telefonica col presidente nella quale questi gli chiedeva i voti necessari a modificare l’esito delle elezioni.

In realtà, se si legge la conversazione telefonica, Trump spiega al suo interlocutore tante cose, cioè che hanno votato anche i morti; tanti i voti di persone che non avevano diritto perché fittiziamente residenti in Georgia (solo una casella postale); che tanti repubblicani, recatisi al voto, avevano “scoperto” di aver già votato; che nella Contea di Fulton, dove si è concretizzata la vittoria di Biden, grazie a centinaia di migliaia di voti viziati, era successo di tutto (Trump spiega anche di lotti di schede, tra cui quelle militari assegnate al 100% a Biden) etc. e gli chiedeva di porre rimedio a tutto ciò.

Ma anche qui non è importante ciò che realmente ha detto Trump, ma quel che hanno sintetizzato i media, e per i media e i suoi avversari tutto si risolve in una pressione per alterare il risultato della votazione.

Così iniziano a levarsi voci di un altro possibile impeachement contro Trump (d’altronde non c’è due senza tre, il più impicciato della storia…).

Al di là della controversia, da registrare che a rendere pubblica quella telefonata è stato il Segretario di Stato repubblicano, contro il quale Trump minaccia querele.

C’è del sinistro in tutto ciò, in particolare nel fatto che una conversazione col presidente venga registrata, ma non è questo il punto, che resta il fatto che a inguaiare Trump è stato un repubblicano.

Non è la prima volta, dato che a creare lo scandalo, che diede via al Russiagate, che ha avviato un’inchiesta formale contro il presidente, è stato John Mc Cain e a dar vita all’Ucrainagate, che ha visto aprirsi un procedimento di impeachement, è stato John Bolton.

Riguardo lo scandalo attuale è importante la tempistica. Questo scoppia cioè alla vigilia del fatidico voto al Congresso Usa e quindi serve a depotenziare le rimostranze del presidente di fronte all’opinione pubblica.

E a convincere i repubblicani che ancora lo sostengono ad abbandonare la nave che affonda. Anche perché la richiesta di impeachement rafforzerà, andando a minare il futuro attivismo di Trump, che sta cercando di ritagliarsi un ruolo politico da oppositore.

Peraltro il possibile impeachement è solo uno dei tanti problemi cui andrà incontro Trump una volta che non sarà più presidente, contro il quale il potere che ha sfidato sta già approntando un attacco mortale.

Ma la tempistica ha anche un’altra ragione. Lo scandalo si è aperto quando ormai i giochi per le elezioni in Georgia sono chiusi, dato che la gente ha iniziato a votare. Elezioni cruciali, quelle georgiane, nelle quali si vota per eleggere due senatori ancora mancanti all’appello.

Se i repubblicani vinceranno almeno uno dei due seggi vacanti, avranno il controllo del Senato. Per l’establishement del partito, era importante che Trump arrivasse al voto indenne, dato che gli serviva il suo sostegno per vincere.

Ora che non serve più possono buttarlo in mare (tale l’usuale cinismo che abita la politica). Anzi, devono affossarlo, altrimenti continuerà ad avere il controllo del loro partito, del quale invece aspirano a riprendere il timone, che l’improvvisato nocchiero gli ha sottratto anni fa.

Tolto di mezzo lui, anche i tanti esponenti repubblicani che ancora lo sostengono non avranno altra scelta che accettare il vecchio che ritorna.

Grazie a questo scandalo anche le ultime, disperate, iniziative per ribaltare l’esito delle elezioni, appaiono compromesse. Last but no last l’idea che il vicepresidente, che presiede il Congresso, possa non accogliere la ratifica del nuovo presidente e chiedere una verifica del voto, prolungando così il mandato di Trump.

Peraltro i repubblicani che lo sostengono sono perseguitati dalla sfortuna: nell’ultima settimana ne sono morti cinque, uno dei quali era stato appena eletto al Senato.

Al di là degli interna corporis del potere imperiale, e dello scontro, aperto e segreto, che vi si consuma, la partita del Senato ha un’importanza cruciale per il mondo, dal momento che se l’establishement repubblicano, cioè i neocon, ne avranno il controllo, impediranno a Biden di rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano.

Partita questa, decisiva per la pace nel mondo, tanto che la tensione nel Golfo Persico sta salendo un’altra volta.

 

 

 

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