12 Settembre 2016

Verità per Regeni?

Verità per Regeni?
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«È stato il ragazzo (Giulio Regeni ndr.) a volersi occupare dei sindacati oppositori al regime», insiste Maha Abdul Rahaman, come aveva dichiarato al pm Colaiocco, subito dopo i funerali del giovane a Fiumicello, lo scorso 12 febbraio. Rifiutando poi però di essere interrogata, in virtù della rogatoria di Colaiocco a Londra lo scorso 6 giugno. Una reticenza sospetta. Tanto più che dalla corrispondenza via email tra Giulio e la madre emerge l’esatto contrario.

 

«Non volevo occuparmi di questo settore, ho cercato di fare resistenza e ho spiegato che non volevo farlo, ma la prof ha insistito e ho dovuto accettare». Perché tutte queste pressioni? Giulio è stato forse inconsapevolmente utilizzato per fornire informazioni da passare all’intelligence britannica?». Così Grazia Longo sulla Stampa dell’8 settembre.

 

Nota a margine. Le indiscrezioni di questi giorni, sull’incontro distensivo tra la procura di Roma e i magistrati del Cairo, come anche le (orrende) rivelazioni riguardanti l’autopsia, hanno oscurato questa piccola notizia, molto più significative di altre. 

 

Bizzarra distonia quella della richiesta, ormai diventata slogan, relativa alla «verità per Regeni»: usata come un maglio contro le autorità egiziane, diventa evanescente quando è rivolta a Londra. Davvero le autorità britanniche non possono costringere Cambridge a essere più collaborativa? E se non lo fanno, perché?

 

Sapere se Giulio svolgeva un compito ad alto rischio, del quale forse era consapevole data la sua refrattarietà, non è secondario. Non solo: se fosse vera l’ipotesi riguardo l’utilizzo da parte dell’intelligence britannica, vorrebbe dire che essa monitorava il ragazzo. Cosa sa? E perché non ha dato alla procura di Roma le informazioni del caso?

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