Xi e Trump, alleati necessari contro il coronavirus
Tempo di lettura: 4 minutiLa prima mossa di Trump di politica estera dopo l’assoluzione dall’impeachement è stata quella di chiamare Xi Jinping, per una conversazione sul coronavirus, l’epidemia che ad oggi ha fatto registrare più di 700 vittime.
In apparenza si tratta di due cose distinte, ma così non è. Dopo l’assoluzione Trump è più forte che mai. Non solo per i sondaggi che lo danno in ascesa. A rafforzarlo è anche l’incertezza che grava nei democratici, tra i quali non emerge un vero e proprio sfidante (anche a causa delle spinte dell’establishement del partito per frenare Bernie Sanders, per favorire Buttigieg e, in prospettiva, per un – da loro – auspicato ritorno prepotente di Michael Bloomberg; ma ci torneremo).
Trump, prospettiva Casa Bianca
Più volte abbiamo accennato che Trump ha puntato le sue carte elettorali sulla ripresa dell’economia americana. Vinta la battaglia per l’impeachement, un vero e proprio suicidio politico dei democratici, gli basta quindi che l’economia tenga per essere rieletto (al di là delle sorprese, che certo non mancheranno).
Per questo nei suoi tweet Trump vanta i numeri record conseguiti dalla sua politica economica. C’è certo della propaganda in questa ostentazione, ché i numeri possono essere interpretati in vario modo.
Ma resta il credito che la sua politica economica sta ottenendo tra le imprese, nel mondo della finanza, ma soprattutto tra gli elettori, grazie alla crescita dell’occupazione.
Una situazione che, nelle speranze di Trump, deve tenere fino a novembre prossimo. Da qui il “pericolo coronavirus”, che non è solo una tragica emergenza sanitaria (sulla quale è inutile ad oggi spendere altre parole), ma anche economica.
Il coronavirus e la crisi globale
L’epidemia sta frenando l’economia cinese. La Fabbrica del mondo è in crisi: la quarantena non sta solo mettendo in ginocchio il turismo, erodendo i consumi e ponendo criticità agli scambi commerciali, sta affaticando non poco la produttività.
Tante le fabbriche impossibilitate a riaprire i battenti dopo il Capodanno cinese, dati i rischi che comportano i luoghi affollati per la diffusione del contagio (vedi anche New York Times).
E se la Fabbrica del mondo frena, ne risente l’intero pianeta. Certo, le banche centrali del mondo hanno preso delle contromisure, favoriti in questo dalla lunga chiusura della Borsa di Shangai a cavallo del Capodanno cinese (ha riaperto il 3 febbraio).
Ma l’immissione di una valanga di liquidità nei mercati potrebbe non bastare a evitare una crisi globale. Così Trump sa perfettamente che deve aiutare la Cina a uscire fuori dall’attuale criticità. La sua sorte, volente o nolente, è legata alla sua ripresa.
Trump e i trumpiani
Trump deve però superare ostacoli non da poco, posti dai suoi stessi ideologi, i variegati trumpisti, che invece hanno salutato il coronavirus come una manna piovuta dal cielo.
La loro ristretta ideologia, infatti, ha il suo focus nella lotta esistenziale contro la Cina, che ai loro occhi ha impudentemente sfidato l’egemonia americana sul mondo, sul piano sia commerciale sia geopolitico.
Così il coronavirus rappresenta un’occasione unica per far collassare l’economia del Dragone, o quantomeno per infliggergli un colpo ferale, tale da assicurare agli Stati Uniti il primato economico globale nei prossimi anni. E con questo, quello geopolitico.
Peraltro è anche un’occasione ghiotta per poter mettere alla berlina il sistema cinese, che vari analisti e media accusano delle peggiori nefandezze riguardo all’epidemia.
Pechino è così accusata di mentire al mondo sui numeri reali del virus; di usare violenza contro gli ammalati o i sospettati tali; di aver creato il virus come arma biologica che sarebbe sfuggita al loro controllo (Infowars); addirittura, di usare pazienti infetti come arma biologica per seminare il terrore nel mondo (ancora Infowars). A certa follia non c’è limite.
Non solo la Cina, gli stessi cinesi in tale propaganda sono additati come dei sub-umani, con abitudini igieniche e usi alimentari tali da renderli inevitabilmente untori del mondo. E dire che parliamo di una civiltà millenaria, a fronte della quale la breve storia americana è ben poca cosa.
Dalle rivolte di Hong Kong al coronavirus
Tale la follia, alla quale lo stesso Trump, meno trumpiano dei suoi e dotato di un pragmatismo commerciale alieno da certe derive ideologiche, sta tentando di far argine, come dimostra la conversazione telefonica con Xi.
Accadeva lo stesso al tempo delle rivolte di Hong Kong contro Pechino, con criticità crescenti per quest’ultima. Per mesi i trumpiani hanno cavalcato le proteste a fronte dei tentativi del presidente di trovare vie di conciliazione tra le parti, come riconosciuto dalle stesse autorità cinesi.
Per inciso, val la pena registrare certe scadenze temporali. Le rivolte di Hong Kong hanno cessato di essere notizia principale dei media internazionali, e quindi criticità primaria per il Dragone, a ridosso dell’accordo commerciale fase 1 tra Pechino e gli Stati Uniti. E forse non è un caso.
Appena chiusa quella crisi, Pechino è piombata nell’incubo coronavirus. Se davvero si tratta di un’arma biologica, come affermano i detrattori di Pechino, c’è da porsi qualche domanda su tale successione.
Al di là, resta la telefonata tra Trump e Xi, che si spera possa portare un maggior coordinamento per contrastare l’epidemia e per attutirne i nefasti effetti, tra cui, non ultima, la disgustosa strumentalizzazione politica che si sta facendo di una malattia che semina morti e paura.