7 Aprile 2021

Khun e i trent'anni della diplomazia del ping pong

Khun e i trent'anni della diplomazia del ping pong
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La foto simbolo della “diplomazia del ping-pong”, lo scambio di doni tra il cinese Zhuang Zedong e l’americano Glenn Cowan ai campionati mondiali del 1971

Cinquant’anni fa la diplomazia del ping pong, che inaugurò una nuova era dei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Di tale anniversario ne scrive Robert Lawrence Kuhn, uomo d’affari americano che ha avuto un ruolo di primo piano nel costruire ponti tra i due Paesi, come dimostrano attestati e onorificenze ricevuti da entrambi i Paesi.

Nel ricordare quei tempi, spiega come, oggi come allora, con contrapposizioni simili tra le due potenze (pur se oggi più conflittuali di allora), sia necessario trovare punti di convergenza, anche minimi, sui quali costruire. 

Nella nota, racconta la sua personale diplomazia del ping pong. Un racconto di colore, che val la pena riportare per la sua genuina ironia e intelligenza (dal Global Times).

 

Gennaio 1989, il mio primo viaggio in Cina. Ero stato invitato dalla Commissione statale per la Scienza e la tecnologia a una conferenza sulla riforma. La mia guida era un giovane brillante ed energico di nome Zhu Yadan (Adam).

Adam parlava correntemente l’inglese e non era per niente intimidito dal nostro strano gruppo di banchieri d’affari americani. Dopo aver tenuto la mia conferenza (finanziamento di nuove imprese e rischio imprenditoriale), decisi di inseguire un desiderio diverso dalle visite ufficiali obbligate all’Opera di Pechino e alla Grande Muraglia.

Volevo giocare a ping-pong con i leggendari cinesi. Avevo giocato bene da bambino e al college, ma non prendevo una racchetta da anni. Ogni volta che vedevo Adam alla Diaoyutai State Guesthouse, lo supplicavo che volevo giocare a ping-pong, e ogni volta mi rispondeva che il mio programma era stato fissato dalle autorità e che non erano consentiti cambiamenti.

Continuavo a infastidire Adam, che a sua volta cercava di evitarmi e di evitare discussioni; così, ogni volta che mi vedeva arrivare, si dirigeva nella direzione opposta.

Frustrato, gli ho teso un’imboscata nella hall: “Se non ti decidi a correre il rischio di soddisfare qualcuno che ha viaggiato per 7.000 miglia per aiutare gratuitamente il tuo Paese, non c’è speranza per l’imprenditorialità in Cina”.

Il giorno successivo, mentre stavo assistendo a una conferenza, Adam mi si è avvicinato di soppiatto alle spalle, e mi ha sussurrato: “Tra 10 minuti vieni lentamente sul retro; cerca una piccola macchina nera”.

Sentendomi più una spia che un aspirante giocatore di ping-pong, sono uscito nel parcheggio, cercando di apparire più anonimo possibile. Mi sono avvicinato a una  macchina vecchia. All’improvviso, si è spalancata la portiera e Adam, accucciato furtivamente sul sedile posteriore, mi ha trascinato dentro come fossi un rapito.

Così siamo andati alla People’s University (della Cina), dove ad aspettarmi, con mio orrore, c’erano tre giocatori della nazionale cinese e uno degli allenatori della stessa. A peggiorare le cose, un centinaio di studenti venuti ad assistere al debutto a Pechino del “campione” americano.

“Conosci Jack Smith [ho dimenticato il suo vero nome]?” mi ha chiesto uno dei giocatori cinesi. “È il numero 1 negli Stati Uniti. L’ho battuto 21-4”.

Bene, il meglio che posso dire è che non ero in totale imbarazzo. I giocatori cinesi mi hanno gentilmente concesso un numero crescente di punti a partita: cinque, poi otto, poi 11 (le partite erano ancora a 21 punti).

Tutti gli studenti cinesi tifavano per me e, come Rocky Balboa, iniziai a credere in me stesso. Mi sono rivolto al traduttore e ho detto in modo fintamente minaccioso: “Per favore, dì al mio amico cinese che alla prossima partita faccio 13 punti”. La sua pronta e altrettanto sorridente risposta fu: “Per favore, dì al mio amico americano che farà zero punti”.

Il mio avversario ha poi annunciato a tutti che se avessi fatto tre punti nella partita successiva sarebbe strisciato sotto il tavolo per venire a stringermi la mano. La storia finisce come nel film di Rocky.

Ho perso, ovviamente, ma con dignità. Ho ottenuto i tre punti – uno dei quali l’ho effettivamente fatto grazie alla mia abilità  – e, fedele alla parola data, il giocatore della nazionale cinese è strisciato sotto il tavolo, per la gioia sfrenata degli studenti cinesi che si sono profusi in applausi e risate. Adam Zhu sarebbe diventato il mio socio in affari per molto tempo a venire. Auguriamoci più diplomazia del ping-pong!

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