Notes, 2 dicembre 2014
Tempo di lettura: 2 minutiInchini. L’inchino di papa Francesco davanti a Bartolomeo I ha commosso tanti. E a ragione: il viaggio del Pontefice in Turchia ha avuto in questo gesto il suo significato più alto e significativo,
Un inchino straordinario perché segnala non tanto un modo nuovo e geniale di interpretare il ruolo di romano pontefice (come osservato da alcuni commentatori), cosa che al massimo susciterebbe l’entusiasmo riservato a un attore cinematografico, quanto l’umiltà della fede cristiana della quale Francesco ha reso stupenda testimonianza.
D’altronde nel cammino verso l’unità dei cristiani non si procede se non attraverso questa umiltà, abitata dalla consapevolezza che la buona volontà e le umane strategie non possono colmare distanze sedimentate in secoli di separazione. Si tratta di chiedere un miracolo che può fare solo il Signore. Il fatto che l’incontro tra il successore di Pietro e il successore di Andrea sia avvenuto nella prima domenica di Avvento, festa di sant’Andrea, ne rende chiara testimonianza. Tempo di Avvento, tempo di attesa di quel che fa il Signore.
Altro particolare da segnalare: questo cammino più che un avanzamento è un ritorno, seppur nella novità: un tornare a quella Chiesa indivisa del primo millennio che fattori umani hanno lacerato. Ironico che questo ritorno sia portato avanti da un Papa che molti osservatori (di destra e di sinistra) indicano come progressista.
Ancora più ironico il fatto che mentre nella Chiesa cattolica trova ostacoli la celebrazione della liturgia della tradizione, che Benedetto XVI aveva recentemente indicato come tesoro da custodire, si proceda verso l’unificazione con una Chiesa che la liturgia antica ha conservato come bene prezioso (e verso la quale papa Francesco ha speso parole stupende).
Il mondo vive un’epoca di tribolazione e lacerazione. Gesti come quelli accaduti a Istanbul (Costantinopoli) sono piccola cosa, ma aprono alla speranza.