27 Aprile 2018

Corea: la storica stretta di mano

Corea: la storica stretta di mano
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La stretta di mano tra Moon Jae-in e Kim Jong-un alla fine c’è stata, nonostante gli sforzi oppositivi dei guerrafondai. A Panmunjom, nella zona de-militarizzata al confine tra le due coree, è stata scritta una pagina di storia.

Corea: la stretta di mano che passerà alla storia

Più che simpatico il siparietto che ha visto Kim superare il muretto che segnala il confine per raggiungere il suo omologo del Sud. Ancora più simpatico quando Kim ha chiesto a Moon di ricambiare il gesto e, sottobraccio, lo ha portato oltre il  confine del Nord. Tra le risate divertite degli spettatori (cliccare qui per il video).

Uno show, certo. Ma molto più fausto degli show che approntano i costruttori di guerra, fin troppi in questi anni. Resta da capire se il processo distensivo che si è innescato sia irreversibile. E se il rischio di un conflitto globale, sfiorato realmente in questi mesi, appartenga al passato.

Più che interessante l’analisi di Andrei Lankov, presidente del think tank Korea Risk Group, sul Corriere della Sera di oggi.

In un’intervista rilasciata a Guido Santevecchi, Lankov, dopo aver accennato ai rischi pregressi, spiega che la “svolta” è dovuta a tre fattori.

La ferma determinazione di Mosca e Pechino di difendere Pyongyang contro un eventuale intervento di Washington. La necessità di Kim di uscire dalla crisi economica in cui versa il Paese. La determinazione del leder sudcoreano Moon di avviare una distensione tra i due Paesi, palesata nell’invito dei nordcoreani alle Olimpiadi.

Ma soprattutto le nuove capacità nucleari di Pyongyang, che hanno dimostrato di poter colpire gli Stati Uniti d’America (chissà: un aiutino russo o cinese?).

La denuclearizzazione virtuale

Ma secondo Lankov non ci sarà una vera e propria denuclearizzazione della Corea del Nord, come chiedono gli americani.

Kim potrà fare a meno di alcuni vettori, dal momento che, come spiega Lankov, “non gli servono tutti. Gli bastano pochi missili e poche testate per raggiungere lo scopo della sopravvivenza garantita, perché nessuno attaccherebbe mai un Paese atomico come la Corea del Nord.”

Serve realismo, afferma ancora Lankov. D’altronde un conto è un impegno a denuclearizzare, un conto è farlo. In fondo “tutte le potenze nucleari dichiarate si sono impegnate alla ‘denuclearizzazione finale’, l’hanno scritto nel Trattato di non proliferazione del 1968 e si sono guardate dal farlo. A Kim si deve chiedere di ridurre il suo arsenale e di smettere di produrre nuovi ordigni”.

Certo, Trump potrebbe essere tentato di strafare, ma Lankov pensa che “fingerà di credere alla denuclearizzazione nordcoreana perché non vuole una guerra”. D’altronde può rivendersi l’accordo come un grande successo diplomatico.

Da parte sua il governo di Pyongyang può giovarsi non poco della fine delle sanzioni internazionali: Kim potrà alleviare la povertà e guadagnare consenso presso il suo popolo.

Un’analisi intelligente, quella di Lankov, che però guarda solo all’aspetto globale della vicenda. C’è un altro livello di questa crisi, secondario ma ugualmente importante, ed è quello dei rapporti intercoreani.

Finora i leader sudcoreani sono stati succubi di Washington e tasselli del loro puzzle geopolitico. Moon è tutt’altro: è seriamente intenzionato ad avviare un nuovo inizio tra le due Coree. Una variabile nuova nella geopolitica mondiale.

Come tutt’altro è il ruolo della Cina. Altre volte ha gestito la criticità coreana solo in rapporto a Washington. Stavolta, invece, la gestione della crisi e dei suoi ulteriori sviluppi può guadagnargli un rapporto meno conflittuale con Seul. Con vantaggi evidenti.

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