27 Settembre 2016

La battaglia d'Aleppo

La battaglia d'Aleppo
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È iniziata la battaglia finale per Aleppo. Fatte convergere sulla città le unità scelte, Damasco ha iniziato l’attacco per la sua conquista. L’apporto di milizie iraniane e di hezbollah, ma soprattutto l’intelligence e l’aviazione russa, possono permettergli un’operazione militare che altrimenti non avrebbe mai potuto sperare di portare a compimento, dal momento che le milizie islamiste sono legioni e possono avvalersi di armi all’avanguardia, fornite loro da Stati Uniti e monarchie del Golfo.

 

Si è chiusa indecorosamente la finestra della pace, seppellita a Deir Ezzor da un proditorio bombardamento dei top gun americani sui militari siriani durante una tregua concordata tra Mosca e Washington. Bombardamento che ha cancellato ogni credibilità della diplomazia Usa agli occhi dei russi e dei loro alleati.

 

Così la parola è rimasta alle armi. E l’attacco ad Aleppo Est, a lungo frenato dai russi in attesa di un accordo con gli Usa, è diventato inevitabile.

 

La cronologia incalza: Damasco è costretta a prendere Aleppo prima che la Clinton diventi presidente degli Stati Uniti, cosa che renderebbe la partita troppo rischiosa a livello globale, perché la nuova presidente, “per difendere Aleppo”, potrebbe accarezzare l’idea di una guerra diretta con la Russia (ipotesi di fatto in campo).

 

A Damasco è necessario quindi prendere Aleppo prima che ciò avvenga. La conquista della città porterebbe a consolidare a tal punto le posizioni di Assad da poter ritenere chiusa la partita (anche se ovviamente si aprirebbe un’altra fase del conflitto, forse non meno cruenta, riguardo il destino del restante territorio siriano, ma è meno importante a livello geostrategico).

 

Già, la cronologia. Sotto questo profilo le diverse tregue stipulate fino ad oggi dai negoziatori Usa non sono state vere e proprie opzioni di pace. Se Kerry, anima diplomatica dell’amministrazione Obama, ha potuto concordarle è perché anche gli ambiti bellicisti Usa a lui ostili le hanno appoggiate per un duplice scopo: allungare i tempi del conflitto (per portarlo appunto a ridosso della presidenza Clinton) e usarle come finestra di opportunità per rifornire i loro jihadisti di riferimento.

 

Si tratta quindi di tregue che, ab initio, erano “a scadenza”. Il cui affossamento, dopo il loro utilizzo a scopo bellico, era operazione facilissima. Come accaduto appunto nell’ultima occasione.

 

In realtà, quest’ultima più di altre aveva suscitato speranze, perché gli Stati Uniti, per la prima volta, avevano accettato di separare i destini di al Nusra, leggi al Qaeda, da quelli delle altre fazioni jihadiste, particolare non indifferente sul quale finora avevano glissato nonostante fosse evidente il loro collegamento operativo (vedi articolo di Paolo Mieli).

 

Oggi i destini di tutte queste formazioni jihadiste sono di nuovo associati in maniera indissolubile. Anche perché senza la forza militare di Al Nusra, e la feroce determinazione dei suoi macellai, nulla potrebbero le altre milizie islamiste (che pur annoverano nei loro ranghi legioni di feroci tagliagole, molti dei quali di provenienza Isis).

 

Aleppo Est è assediata da mesi. Così i jihadisti ivi ristretti non possono ricevere rifornimenti. Ne hanno ammassati parecchi in questi mesi, in previsione dell’attacco finale, ma l’assenza di canali logistici aperti all’esterno rende la loro resistenza improba.

 

Insomma, sanno che sarà dura se non impossibile resistere. Come lo sanno i loro alleati d’Arabia e d’Occidente. Né l’intensificarsi di attacchi jihadisti contro zone controllate dal governo, in particolare a Deir Ezzor (da parte dell’Isis, particolare che rivela il coordinamento tra questa Agenzia del Terrore con le altre forze anti-Assad), sembra in grado di distogliere forze lealiste dalla battaglia decisiva di Aleppo, cosa che consentirebbe di frenarla.

 

Così l’unica arma a disposizione delle forze anti-Assad è la propaganda, sulla quale peraltro hanno potuto contare fin dall’inizio della loro sanguinaria avventura.

 

Da qui lo sdegno universale per il “massacro” di Aleppo. Uno sdegno che crescerà in maniera esponenziale man mano che le operazioni russo-siriane andranno a dipanarsi. Sarà l’unico modo per tentare di frenarle, in vista di un ribaltamento futuro. O quantomeno per macchiare indelebilmente l’immagine internazionale dell’odiato Putin.

 

Per questo ai civili e ai ribelli tentennanti è impedito di usare le vie di fuga lasciate aperte a tale scopo dalle forze di Damasco. Ed è presumibile che molti di questi verranno sacrificati deliberatamente sull’altare di questa operazione propagandistica.

 

Fiumi di inchiostro scorrono e scorreranno per descrivere le sofferenze di Aleppo Est. Fiumi che erano aridi quando a essere martellata dai bombardamenti era la popolazione civile delle aree sotto il controllo di Damasco, strette d’assedio dai jihadisti per ben quattro anni (qualcuno se ne è accorto?). Anche questa è guerra.

 

Va da sé che tale propaganda omette di dire che quella parte di Aleppo si trova sotto il controllo di al Nusra, al Qaeda appunto, sotto la cui ala si stringono le milizia jihadiste che controllano la zona. E sotto la cui stretta feroce, a quanto pare, i civili vivono benissimo, almeno a stare a tale propaganda.

 

Inizia un periodo particolarmente tormentato, nel quale non mancheranno sorprese e qualche invenzione a effetto (ad esempio armi chimiche e altro).

 

Val la pena, per concludere, accennare a una similitudine: la popolazione di Aleppo Est conta 300mila abitanti. Esattamente quanti erano quelli di Falluja al tempo della seconda guerra irachena. Falluja che fu assediata per sei mesi dalle truppe americane per poi essere attaccata con una forza d’urto impressionante, dall’aria e dal cielo, in maniera indiscriminata.

 

Una «mattanza» che fece «migliaia e migliaia» di vittime, come ricorda un marine americano presente all’azione, e che vide anche l’impiego di bombe all’uranio impoverito e al fosforo bianco. Lo sdegno per quell’ignobile pagina di cronaca nera fu davvero pochino. Ma allora si trattava di americani, non di “barbari” siriani.

 

Ma al di là di queste tristi considerazioni, non si può non sperare che qualcosa impedisca ulteriori spargimenti di sangue. Data la situazione, ci vorrebbe un miracolo. Spes ultima dea.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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