20 Giugno 2018

Piccole note a margine sui migranti

Piccole note a margine sui migranti
Tempo di lettura: 3 minuti

Entrare nel tema dei migranti è esercizio arduo: si suscitano reazioni e si perdono lettori (problema grande per i grandi giornali, non per noi, che siam piccoli e al massimo così restiamo). Ma val la pena tentare di spendere due righe.

Non tanto per dire la nostra, che forse interessa pochi o nessuno, quanto per una necessità intrinseca al tema.

Migranti: di accoglienza e muri

Il problema migranti non si risolve con l’accoglienza, come sa bene chi di tale predisposizione fa bandiera. Né si risolve con i muri, come sa bene chi di tali misure fa bandiera.

Serrare le frontiere, infatti, è misura del tutto inadeguata a contenere la spinta di  un continente intero, che poi è la derelitta Africa.

È vero che l’accoglienza è umanità che non si può negare. Come è vera la denuncia che vede interessi indicibili dietro l’epocale transito migratorio.

Immaginare che lo Speculatore Soros finanzi navi adibite al soccorso dei migranti a scopo umanitario è risibile.

Né si comprende, o si comprende bene, perché certe Ong preferiscano spendere tanto in navi che in un anno possono al massimo salvare qualche decina di migliaia di persone e non in aiuti in terra d’Africa, stante che il costo di una di queste navi (tutto compreso) è talmente alto da poter sostentare milioni di indigenti l’anno in terra africana.

Purtroppo il tema è oggetto di rovente dibattito politico. Sul quale stanno o affondano fortune di politici e governi. Cosa che ne complica l’approccio.

Migranti: di formule e complessità

Le formule magiche non le ha nessuno. E tante esposte sono vacue. Lo slogan “aiutiamoli a casa loro” ha una sua ragionevolezza. E però ha tante implicazioni.

Un modo per ottemperare è facile: non comprare i telefoni cellulari, che necessitano di coltan, una sabbia particolare della quale la Repubblica democratica del Congo ha quasi l’esclusiva mondiale.

Ricchezza nefasta per i congolesi, dal momento che per predarla le multinazionali alimentano caos e guerre nelle regioni in cui si trovano le riserve di tale minerale.

Solo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000 il conflitto per il controllo del coltan ha prodotto tre milioni e mezzo di vittime. Bilancio bellico tra i più tragici dalla fine della seconda guerra mondiale, eppure obliato.

Ma è solo uno dei tanti esempi. Peraltro il topos che vorrebbe lo sfruttamento del Continente nero figlio di un’incapacità endemica nel governare è inaccettabile.

Se è vero che la corruttela dei politici fa la sua parte, è pur vero che oscure forze post coloniali vigilano in maniera feroce affinché tale stato di cose perduri a maggior gloria dell’Occidente.

Né si possono accettare certe venature razziste del dibattito, che dovrebbero essere rifiutate anzitutto da quanti reputano che l’accoglienza debba essere regolata in modo altro dall’attuale caos organizzato.

Quando i bambini sono separati dai genitori

Solo note a margine, che chiudiamo con il drammatico fenomeno dei bambini separati dai genitori al confine tra Messico e Stati Uniti, a causa di una stretta sulla immigrazione.

Sul punto ha scritto Massimo Gramellini. E c’è poco da aggiungere; cliccare qui.

Quel poco da aggiungere è questo: che da anni gli Stati Uniti separano i figli dai genitori.

È accaduto nella guerra afghana, nella guerra irachena, nella guerra siriana, nella guerra libica, per fare solo alcuni esempi, dove tanti genitori sono caduti sotto le bombe americane votate al regime-change.

Bombe umanitarie, sganciate per portare libertà e democrazia. Salutate con giubilo dagli stessi ambiti mediatici e politici che oggi piangono la sorte dei fanciulli messicani.

E tanti gli orfani prodotti dall’attuale guerra yemenita, condotta da sauditi e monarchie del Golfo, con l’appoggio americano, contro i ribelli houti. Conflitto sottaciuto per non offendere i padroni dell’olio nero (Piccolenote).

Ha ragione Gramellini: “I bambini hanno sempre ragione”. Non solo al confine tra Messico e Stati Uniti.

 

Nella foto: bambina irachena in fuga dalle bombe

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