19 Dicembre 2017

Putin: grazie alla Cia

Putin: grazie alla Cia
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Ha fatto il giro del mondo il ringraziamento che Putin ha indirizzato alla Cia per aver fornito informazioni vitali per sventare un attacco a San Pietroburgo. Cortesia che ha dato occasione al presidente russo di avere una conversazione telefonica con Donald Trump.

È la seconda in quattro giorni: nella precedente i due presidenti avevano parlato di possibili modalità di risoluzione della crisi coreana. Se si considera che nella conferenza stampa che di recente ha dato avvio alla sua corsa presidenziale Putin ha voluto pubblicamente elogiare Trump per le sue scelte in politica economica, si può ben dire che non si tratta di un semplice scambio di cortesie, ma di qualcosa di più profondo.

I due presidenti, pur difendendo le ragioni del proprio nazionalismo, hanno voluto dare un segnale al mondo: nonostante gli inciampi posti da quanti stanno lavorando attivamente per far fallire la creazione di un rapporto meno conflittuale tra Russia e Stati Uniti, come da auspici di Trump in campagna elettorale, il legame tra i due è più solido che mai.

Ringraziare espressamente la Cia poi, per un ex ufficiale dei servizi segreti russi quale è Putin, è stato un colpo da maestro. L’attentato ordito dall’Isis avrebbe mietuto molte vittime, «migliaia», secondo quanto ha riferito in altra sede Trump. Avrebbe cioè dovuto essere, nella mente dei suoi artefici, l’equivalente russo dell’11 settembre americano.

Un attentato che aveva di mira anzitutto Putin. È a San Pietroburgo, infatti, nel Palazzo che lo zar dedicò a Costantino, che egli suole accogliere i capi di Stato stranieri e organizzare i vertici più importanti.

Un attentato che avrebbe dovuto colpirlo al cuore e in un momento alquanto delicato per la sua leadership, essendo iniziata la campagna presidenziale. Avrebbe dovuto cioè suonare a monito futuro e, insieme, evidenziarne la debolezza di fronte al mondo e al suo Paese.

Il leader che ha fatto della forza e della determinazione la sua cifra istituzionale e internazionale si sarebbe palesato improvvisamente debole, incapace di difendere la sua Patria e la città che ha voluto centro nevralgico del Paese.

L’obiettivo prescelto non aveva solo significati politici più che puntuali, ma anche rimandi simbolici altrettanto puntuali. E i satanisti del Terrore hanno un senso particolare per il simbolismo esoterico.

Il focus dell’attentato avrebbe dovuto essere la cattedrale di Nostra Signora di Kazan. Gli è che il satanismo made in Isis nutre una vera e propria ossessione per le cattedrali simbolo della cristianità.

L’ultimo attentato nel Vecchio Continente, infatti, quello di Barcellona, aveva come obiettivo principale la Sagrada Familia di Gaudì (poi, a seguito di un accidente, i manovali del Terrore hanno virato verso obiettivi più fattibili, vedi Piccolenote).

Ma ancora più puntuale era il riferimento a san Pietro, che dà il nome alla città, e alla chiesa cuore della cristianità, che la cattedrale di San Pietroburgo richiama nella sua architettura e soprattutto nel suo colonnato, che si allarga ad abbracciare quanti vi si approcciano.

Senza contare che le due ancore incrociate, stemma della città, richiamano le chiavi incrociate che campeggiano sullo stemma della Santa Sede.

Insomma, roba da esoterismo di alta scuola, quello che appunto alligna nelle visioni obnubilate delle «menti raffinatissime» che presiedono al Terrore (citiamo non a caso l’espressione usata da Giovanni Falcone dopo il fallito attentato all’Addaura).

Il fallimento dell’attentato che avrebbe dovuto colpire San Pietroburgo in maniera durissima e raffinatissima ha suscitato l’ira funesta dell’Agenzia del Terrore. Da qui anche i due attentati seriali in Pakistan e Afghanistan, che hanno portato la Paura in Asia (vedi Piccolenote).

Da capire se la soffiata che ha fatto fallire l’attentato in Russia sia venuta da un distaccamento della Cia in Afghanistan. Di certo tale Agenzia ha in questo Paese vari presidi, data la posizione geostrategica del Paese, e la lunga occupazione americana.

Di certo la Cia ha contatti più che stretti con i servizi di informazione afghani, che a loro volta hanno antenne nevralgiche nel magmatico mondo del Terrore che alligna nel loro Paese.

Una soffiata dall’intelligence afghana o da qualche stazione Cia in loco spiegherebbe perché l’Isis ha scelto di colpire una sede dell’intelligence di questo Paese, obiettivo inusuale stante che di solito predilige versare sangue di civili innocenti o attentare a siti simbolici (come ad esempio la chiesa di Quetta colpita il giorno prima in Pakistan).

Difficile che tale suggestione possa avere conferma data la riservatezza che abita l’intelligence. Resta che la soffiata Usa non solo ha evitato l’ennesimo bagno di sangue, ma ha anche aiutato Putin nella sua corsa presidenziale.

Putin ha gradito non poco, come riferito. Promettendo di ricambiare il favore: in caso di informazioni su attentati in Occidente, darà analogo allarme, come d’altronde aveva fatto al tempo dell’attentato di Boston (vedi Piccolenote).

La stampa non sembra aver dato il rilievo dovuto a tale scambio di cortesie, che pure serve a evitare morti ammazzati. Ha continuato nelle ossessive litanie sul Russiagate e su altro e più divisivo.

Davvero poca copertura per un evento che ha una rilevanza, si potrebbe dire, storica, e che palesa ancora una volta quanto sia necessaria la collaborazione tra Usa e Russia per contrastare il Terrore che si è fatto globale.

 

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