18 Luglio 2015

Jean-Michel Basquiat, Tobacco versus Red Chief

Jean-Michel Basquiat, Tobacco versus Red Chief
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In questi giorni a Milano, alla Galleria d’Arte Moderna, è esposto uno dei quadri più noti di Jean-Michel Basquiat. Basquiat è un artista da leggenda, una sorta di meteora che ha attraversato il mondo dell’arte negli anni ’80, morendo a 27 anni per overdose. Basquiat, che era nato a New York da padre haitiano e da madre portoricana, era stato una delle grandi scoperte di Andy Warhol che lo aveva visto in azione come writer e in pochissimo tempo lo aveva lanciato nel mondo dell’arte. Basquiat aveva un temperamento selvaggio, non inquadrabile nel sistema: non resse alla morte di Warhol nel 1987, e infatti l’anno successivo finì con l’andarsene anche lui, pur molto giovane.

 

Per uno scherzo del destino, il più ribelle e antagonistico degli artisti del secondo ‘900 in breve è diventato un’assoluta star del mercato e i suoi quadri più celebri sono contesi da collezionisti e istituzioni che antropologicamente sono ai suoi antipodi. Questo presentato a Milano, Tobacco versus Red Chief, ad esempio è esposto nella mostra che presenta i tesori raccolti da una delle maggiori banche del mondo, la svizzera Ubs…

 

Basquiat era nato writer e non ha mai rinnegato l’energia selvaggia di quando dipingeva i muri di New York. In questa tela, profondamente metaforica, mette in scena ad esempio il destino subito dai nativi americani. Vi si vede un capo indiano – Red Chief – messo in posa come accadeva per i cartonati che reclamizzavano le sigarette o il tabacco. È una rappresentazione ironica e drammatica del soffocamento di un’identità, simboleggiata dalle stupende tende che sbucano al verde selvaggio delle parterie, dipinte a sinistra. Mentre a destra un’altra tenda, appena disegnata, è accompagnata da una scritta ironica: “Moving hotel”. Tutt’intorno lo spazio della scena è chiuso da una linea che fa da cornice e che ha le vaghe sembianze di un filo spinato.

 

Quello di Basquiat è un linguaggio semplice, nutrito da un’energia feroce, com’è feroce il suo sguardo verso la società in cui vive. Il capo indiano è in fondo una rappresentazione di se stesso e di quelli come lui. Del mondo dei non allineati al sistema, degli insubordinati, dei non omologabili. È una rappresentazione da una parte beffarda, perché non fa sconti e non conosce buone maniere. Dall’altra tragica, perché racconta di un mondo già segnato nel suo destino. Ma è anche rappresentazione di un mondo che ha qualcosa di irriducibile, come se fosse sempre pronto a riemergere dal sottosuolo della storia: la pittura scatenata di Basquiat suona come un avvertimento…

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