23 Novembre 2015

Chi è il nemico: l'Isis o la Russia?

Chi è il nemico: l'Isis o la Russia?
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Ieri Barack Obama, in procinto di incontrarsi con il presidente francese François Hollande nella sua nuova veste di Comandante in capo dell’Armée francese, ha tenuto un discorso sul terrorismo riaffermando l’impegno degli Stati Uniti d’America in tal senso. Al quale ha voluto aggiungere cenni critici verso la Russia: la sua pervicacia nel difendere Assad, ha affermato Obama, sarebbe un freno alla lotta ai terroristi in Siria. Non solo, nella sua campagna militare, Mosca starebbe attaccando i ribelli moderati e non l’Isis.

 

Una piccola svolta, almeno nella narrazione, del presidente Usa, visto che, dopo aver usato toni e argomenti similari all’inizio della campagna militare russa in Siria, si era speso – in particolare tramite il Capo del Dipartimento di Stato Usa John Kerry – per trovare un compromesso con Putin a Vienna.

Qualcosa è cambiato. E quel qualcosa ha a che vedere con gli attentati di Parigi.

 

Il massacro transalpino ha riversato un’ondata di terrore su tutta l’Europa, diffuso panico e tensione. Consegnando una nuova opportunità ai neocon, sia nel Vecchio che nel Nuovo Continente, i quali non se la sono fatta sfuggire.

 

Sui media e nell’agone politico hanno ripreso a imperversare i vecchi – e a volte nuovi – arnesi del decennio bellicista di Bush e Blair, cantori delle avventure militari in Iraq, Libia e Siria.

E, al solito, hanno messo nel mirino l’odiata Russia, contro la quale, da tempo, propugnano un contrasto a tutto campo.

 

Anche Hillary Clinton, presidente Usa in pectore, ha ribadito la sua nota vis bellica, schierando i liberal progressivi con i rivoluzionari neocon. Una pressione a tenaglia alla quale Obama, almeno a parole, sembra abbia dovuto cedere.

Così oggi, per una strana ironia della sorte, dopo le stragi di Parigi, accanto al nemico vero, ovvero la variegata agenzia del terrore chiamata Isis, si va profilando un altro nemico: la Russia. Nonostante sia proprio Mosca ad aver costretto l’Isis sulla difensiva.

 

Ad oggi il confronto con la Russia è solo a parole, ma presto potrebbe essere altro. La Francia sta muovendo verso la Siria la sua macchina da guerra, Cameron ha chiesto al Parlamento britannico di poter fare altrettanto. E se gli alleati anglo-britannici diverranno operativi in Siria, sarà sempre più difficile per Obama non allargare le operazioni dell’esercito degli Stati Uniti e della strana coalizione anti-Isis (formata anche da Paesi che alimentano il terrorismo) anche in quella zona.

 

Un apparato militare che andrà ad affollare un campo di battaglia già sovraffollato: da aerei russi e dalle truppe di terra di Assad (e dei suoi alleati), che in questi giorni stanno pian piano avanzando su Aleppo in una maniera lenta ma inesorabile che sta mettendo l’Isis, e le altre formazioni jihadiste a questa collegate, alle corde.

 

Insomma, altri sono pronti a raccogliere quel che i russi hanno seminato. Non solo: la presenza di un apparato militare in Siria da parte di nazioni che da tempo sostengono l’uscita di scena di Assad sarà usata allo scopo. Non solo facendo pesare tale presenza nel negoziato globale, ma anche, è possibile, usando l’apparato militare dispiegato in loco a sostegno dei ribelli cosiddetti moderati (che tanto moderati poi non sono).

Certo, c’è rischio di uno scontro con i russi. Ma certi ambiti bellicisti non lo temono. Anzi, nella loro follia sembrano cercarlo.

 

Uno scenario, quello tracciato, che relega gli accordi faticosamente raggiunti a Vienna, a un disegno quasi obsoleto.

La Russia non può vincere in Siria al massimo dovrà accontentarsi di conservare (più o meno ad tempus) un’influenza nella zona di Latakia, dove risiede la sua base militare, e dovrà cedere sulla defenestrazione senza se e senza ma di Assad. Questo potrebbe essere il risultato ultimo, almeno nelle speranze dei neocon, di tanto interventismo militare. Dove il contrasto all’Isis è solo parte di un disegno più ampio.

 

Una spinta a ridimensionare le velleità russe si evince anche da quanto deciso ad Antalya. Paolo Mastrolilli scrive sulla Stampa di oggi: «Al G20 […] gli Usa e gli alleati europei, Italia inclusa, si sono accordati per estendere di altri sei mesi le sanzioni alla Russia per la crisi ucraina, perché Mosca non ha applicato in pieno l’accordo di Minsk».

 

Già, le sanzioni: in un momento nel quale sarebbe cruciale che la comunità internazionale si unisse per contrastare il pericolo mortale costituito dalla minaccia terroristica, l’Occidente spinge per rinnovare le sanzioni alla Russia per motivi indefiniti (anche Kiev non ha ottemperato Minsk).

 

Proprio dall’Ucraina una notizia alquanto inquietante: in questi giorni è nato un nuovo gruppo di militanti anti-russi, i tatari del sedicente Blocco civile per la Crimea. Questi e i neonazisti di Pravy Sektor hanno fatto saltare due tralicci dell’elettricità, lasciando al buio e al freddo l’intera Crimea.

Un sabotaggio in grande stile che fa paventare nuovi scontri nel Paese, che andrebbero a rinfocolare ancora di più la propaganda anti-russa in Occidente.

 

Fino ad alcuni giorni fa i media del mondo avevano preso atto che Putin era uscito dall’angolo nel quale era stato relegato dalla crisi ucraina. Non solo, lanciando la campagna militare in Siria e costringendo i riluttanti attori della crisi siriana a intraprendere un cammino di stabilizzazione aveva consegnato alla Russia nuovo prestigio e influenza internazionale. Gli attentati di Parigi hanno cambiato tutto.

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