26 Luglio 2016

Francia: la sfida satanica dell'Isis

Francia: la sfida satanica dell'Isis
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Una strage al giorno. Così si alimenta la Bestia del terrore globale. E oggi ha infierito in un piccolo villaggio della FranciaSaint-Etienne-du Rouvray, vicino Rouen. La diversità rispetto al modo di agire solito è che i due tagliagole non hanno colpito solo un luogo doppiamente simbolico, ovvero una chiesa nei pressi della città natale del presidente Hollande (Rouen), ma anche un obiettivo civile specifico.

 

Non si trattava di fare una strage nella quale conta fare più morti possibile per aumentarne l’eco, anche se certo i due non hanno mancato di infierire sugli altri convenuti, due fedeli e due suore, uno dei quali è grave.

 

Si trattava, in questo caso, di compiere un omicidio mirato: quello di un prete mentre celebra messa. Sgozzato, come richiede il perverso rito sacrificale officiato.

 

Così si è compiuto il rito satanico. D’altronde è il satanismo la vera religione dell’Isis e dei suoi sponsor e padrini, perversione della religione islamica che invece ha in odio Satana quanto la religione cattolica. Cosa che sfugge, o forse no, agli agitatori dello scontro di civiltà.

 

Al di là delle notevoli differenze, una scia di sangue lega i ripetuti attacchi di questi ultimi giorni.

Dopo Nizza, gli attentati a Monaco, che hanno avuto una coda nell’attentato ad Ansbach, messo a segno perché l’Isis potesse rivendicare il suo primo colpo in Germania (che  gli era stato negato nei precedenti, nonostante i suoi affiliati avessero esultato via web). E ora quello nella chiesa dedicata a Saint Etienne (Santo Stefano). Una scia di sangue che vede all’opera squilibrati.

 

Il mondo è squilibrato, tale l’esito della destabilizzazione globale generata dalle guerre scatenate dall’Occidente nel mondo arabo e dal collaterale attivismo delle Agenzie del terrore (e da altro, fondamentale in tal senso la frattura Est-Ovest). E lo squilibrio produce squilibrati.

All’opera dei quali ormai le Agenzie del terrore devono solo dare ex post il loro marchio di fabbrica.

 

Basta il marchio, un brand come un altro, per rilanciare la sanguinaria sfida. Operazione meno rischiosa di quelle ad ampio spettro stragista, che necessitano di reti sofisticate e oscure connivenze a rischio di tracciabilità. L’effetto scioccante, in questo caso, non è prodotto dalla massa critica delle vittime, ma dalla reiterazione e dal marchio evocativo.

 

In questo mondo squilibrato, padre Jacques Hamel, il sacerdote ucciso, appare invece, seppur di lontano, un esempio di equilibrio. Ottantasei anni, era ausiliare di quella piccola parrocchia, nella quale svolgeva il suo ministero da tantissimo tempo.

«Un buon prete», come lo definiscono i suoi parrocchiani con definizione asciutta quanto bastevole per accennare a una vita di fede.

 

La Chiesa, per bocca di papa Francesco e dell’arcivescovo di Rouen, che si trovava a Cracovia insieme ai tanti presuli che hanno accompagnato il Papa alla Giornata mondiale della gioventù, hanno espresso il loro orrore per l’accaduto.

 

Vedremo gli sviluppi dell’indagine e le conseguenze dell’atto. Ad oggi ci limitiamo a ricordare questo povero, vecchio prete, che certo non avrebbe mai immaginato di conoscere il martirio, ché tale è stato date le circostanze, alla sua età e in quello sperduto angolo di mondo. Che poi era tutto il suo mondo.

 

D’altronde non è una scelta, capita. Quando il Male si scatena. E Dio permette per la maggior sua gloria.

 

 

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