13 Giugno 2025

Bombe sull'Iran: Israele apre il vaso di Pandora

di Davide Malacaria
Bombe sull'Iran: Israele apre il vaso di Pandora
Tempo di lettura: 5 minuti

Nessuna condanna dei leader occidentali per l’attacco del tutto illegittimo contro l’Iran. Un allineamento a Israele inquietante, non solo perché evidenzia la subordinazione a un Paese impegnato nel genocidio dei palestinesi, ma anche per le prospettive che apre: sia in politica estera, con il possibile ingaggio in una guerra aperta a fianco degli incendiari israeliani; sia all’interno, dove la democrazia viene erosa ogni giorno di più dalla connivenza con la follia israeliana.

Le connivenze dell’Occidente

Quanto scritto non si riferisce alla sola America che, pure informata, non ha partecipato ai raid per salvaguardare le sue basi nella regione (Trump non ha dato luce verde, anche se tanti tentano di accreditare tale placet, ma certo un supporto Usa c’è stato), ma all’Occidente collettivo, il cui più o meno tacito sostegno a questo atto di guerra insensata rappresenta un momento epifanico.

Quanto alla giustificazione del raid da parte del Cancelliere Friedrich Merz che ha invocato per Israele il diritto all’autodifesa, rimandiamo a un articolo di Pankaj Mishra sul Guardian che descrive come l’afflato filo-israeliano della Germania, che ha finito per abbracciare “l’etnonazionalismo omicida” di Gaza, non nasca dal senso di colpa per l’Olocausto, ma si nutra del razzismo nazista rimasto sottotraccia nella cultura e nella società teutonica e con il quale il Paese non ha mai fatto i conti (Macron è andato a ruota, ma per riflesso pavloviano).

Di tale degrado partecipa l’Agenzia atomica internazionale (AIEA) che di fatto ha dato il via libera agli attacchi denunciando, senza nessun fondamento e per la prima volta in venti anni – da quando monitora gli accordi sul nucleare stipulati con Teheran – asserite inadempienze iraniane.

Scriviamo “senza nessun fondamento” a ragion veduta. Riportiamo un lancio della Reuters di oggi: “Una fonte a conoscenza dei rapporti dell’intelligence statunitense ha affermato che non vi sono stati recenti cambiamenti nella valutazione dell’intelligence statunitense secondo cui l’Iran non sta costruendo un’arma nucleare e che la Guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Khamenei, non ha autorizzato la ripresa del programma delle armi nucleari, interrotto nel 2003”.

Per inciso, nonostante le informazioni della loro intelligence, i delegati americani presso l’AIEA hanno chiesto che l’Iran fosse condannato per delle violazioni inesistenti, peraltro intervenendo indebitamente a un’assise alla quale non dovevano partecipare, dal momento che gli Usa si sono sottratti agli accordi con Teheran anni fa. Tant’è.

È evidente che l’attacco israeliano fosse mirato a vanificare i negoziati con l’Iran intrapresi dall’amministrazione Trump per eliminare l’inesistente minaccia nucleare iraniana. Lo dice la tempistica, con il raid scatenato a due giorni dalla data fissata per l’incontro in Oman tra le due delegazioni; lo dice il fatto che una delle figure colpite nel raid è Alì Shamkhani, Segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale, ma soprattutto figura chiave dei negoziati.

E probabilmente l’attacco serviva a evitare l’intesa che sarebbe stata annunciata domenica, come faceva intravedere la dichiarazione rilasciata dal ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi, il quale il giorno prima dell’attacco aveva detto che l’accordo “è vicino” (mentre scriviamo il summit in Oman resta incerto; mentre Trump sbanda: esalta l’attacco e chiede un accordo per evitare il peggio…).

Israele ha ucciso i più alti gradi militari iraniani, il Capo di Stato Maggiore Mohammad Baqeri e il capo dei Guardiani della rivoluzione, Hossein Salami, oltre a sei scienziati che lavoravano al nucleare. Colpiti anche i siti nucleari, anche se non sembra in modalità devastanti, e altri obiettivi strategici. L’attacco ha anche l’obiettivo di innescare una risposta durissima, tale da spingere Trump a entrare in guerra (per ora ha solo detto che difenderà Israele, cioè che non parteciperà agli attacchi, ma il futuro è incerto).

La reazione iraniana è stata per ora limitata e forse lo sarà anche la risposta più massiva e studiata futura, dal momento che l’ayatollah Khamenei ha parlato di una risposta “severa”, evitando aggettivi più devastanti. Ma tutto sembra precipitare.

Quanto avvenuto trova spiegazione dalla convergenza tra le mire espansionistiche del premier, che vuole fare di Israele una potenza regionale/globale, con le pulsioni messianiche proprie della Grande Israele, spinte divergenti che nel genocidio dei palestinesi hanno trovato un catalizzatore simbiotico, come dimostra in maniera teofanica il biglietto-preghiera lasciato ieri da Netanyahu al Muro del Pianto: “Ecco, il popolo si ergerà come un leone”, Libro dei numeri 23:24 (l’operazione contro l’Iran è denominata Rising Lion).

Dal genocidio di Gaza alla guerra all’Iran

Sul rapporto tra l’attacco a Teheran e il genocidio palestinese scrive Daniel Lobato su al Mayadeen, secondo il quale se è ovvio che quanto sta accadendo ai palestinesi ha a che fare con la loro sopravvivenza, così è anche per Israele, dal momento che non riesce a portare a compimento la pulizia etnica, un fallimento che lo ha condotto in un “vicolo cieco”.

Trump's failures, 'Israel's' impasse and Iran's apocalyptic trump card

Per Israele, scrive Lobato, “si tratta di una guerra esistenziale contro la resistenza esistenziale dei palestinesi e l’attuale impasse sta portando il regime verso la sua fine, che arriverà nel giro di pochi anni. Israele ipotizza che, se il contesto geopolitico non consente lo sterminio o l’espulsione di milioni di palestinesi, allora si deve cambiare il contesto geopolitico e individuare un altro scenario regionale e globale che possa offrire la possibilità di svuotare la Palestina dei palestinesi. Israele aspira a questo cambiamento radicale”.

“[…] Nell’ambito della protezione illimitata che l’Occidente ha concesso al regime israeliano per 77 anni e durante l’attuale genocidio, i leader sionisti ritengono che l’auspicato cambiamento del contesto geopolitico implica l’apertura di una guerra regionale di grande intensità contro l’Iran ed è per questo che hanno annunciato che la porteranno avanti anche senza l’autorizzazione degli Stati Uniti. Il vero motivo non è neutralizzare il programma atomico di Teheran con attacchi ‘mirati’, cosa irraggiungibile sotto le montagne iraniane [forse… ndr], ma aprire il sipario su uno scenario più sanguinoso di quello attuale”.

“Nel loro orizzonte apocalittico di guerra ad alta intensità, pensano che l’eccezionalismo di cui Israele gode grazie al favore di Stati Uniti ed Europa gli renda possibile conseguire due obiettivi. Il primo è che, a un certo livello del confronto – e dal momento che le riserve di missili e bombe di cui può disporre Israele tramite Stati Uniti ed Europa sono limitate – riesca ad aprire il vaso di Pandora dell’atomica, nel tentativo di imporre l’esclusività atomica nella regione attraverso il loro uso”.

“Il secondo obiettivo è quello di dare vita a una conflagrazione caotica nella regione che potrebbe arrivare a contare centinaia di migliaia di morti, tra cui una moltitudine di israeliani, così da sfruttare i fantasmi occidentali dello ‘sterminio di massa degli ebrei’ per raggiungere l’obiettivo desiderato per la questione palestinese. Se la manipolazione di quanto accaduto il 7 ottobre ha protetto l’attuale olocausto palestinese, i leader sionisti credono che una moltitudine di cadaveri israeliani garantirebbero loro l’impunità per la ‘soluzione finale’ di Gaza”.

Nodo ineludibile della questione, se l’Occidente s’impegnerà a fondo in questo conflitto di stampo coloniale – che vede Israele come avamposto imperiale nell’ecumene arabo – o cercherà di limitare i danni per preservare parte del suo “impero in declino”.

La storia insegna, scrive Lobato, che quando la presa sulle colonie iniziava a vacillare, l’Occidente aumentava la dose di violenza, ma senza per questo riuscire a ristabilire la presa: “La questione cruciale – conclude Lobato – è se l’Europa e gli Stati Uniti intendono raggiungere questo obiettivo”, cioè far finire l’avventura coloniale di Tel Aviv, che finirebbe con il collasso di Israele, “attraverso un inimmaginabile abisso di morte e devastazione regionale”.

Non siamo così sicuri che la fine dello Stato israeliano sia una prospettiva irrevocabile. E però quanto sta facendo il governo di Tel Aviv resta un vulnus irreparabile anche per il loro Paese. Quanto grave lo dirà la storia, al cui giudizio non potranno sottrarsi neanche i “volenterosi” complici occidentali.