Usa. Democratici e Deep State: una Maidan contro Trump

Per sabato 14 giugno, giorno in cui è prevista un’imponente parata per i 250 anni di fondazione dell’esercito Usa, i democratici hanno indetto manifestazioni in tutto il Paese contro Trump, il “dittatore”. All’iniziativa, denominata “No Kings”, avevano aderito, al 10 giugno, oltre 13.000 persone, le quali hanno confermato la loro partecipazione a 320 eventi che avranno luogo in tutto il Paese. Una prova di forza per dire no “all’autoritarismo” manifestato con la stretta sugli immigrati clandestini.
Previste, secondo Axios, 1.800 manifestazioni in tutti i 50 Stati Usa e nel Commonwealth, compreso Porto Rico. Sono previste manifestazioni anche in Colombia, Malawi, Italia [?], Portogallo, Germania e Regno Unito”.
Al di là dell’enfatizzazione, forse esagerata nei numeri e nell’ampiezza, si tratta di uno scenario noto quanto ripetitivo, proprio delle rivoluzioni colorate, da cui il titolo che abbiamo ripreso da Strana, che richiama i tragici fasti di piazza Maidan.
E le rivoluzioni colorate, come sa chi le ha seguite, sono iniziative solo apparentemente politiche, realizzate usando le opposizioni al governo che si vuole abbattere, ma sostenute da un apparato ben più minaccioso, militare nel più ampio senso del termine; nel caso americano lo Stato profondo, con cui ormai Trump è in una guerra aperta.

Foto simbolo dell’attentato a Donald Trump avvenuto il 13 luglio 2024 mentre teneva un comizio in Pennsylvania.
Così è alquanto ovvio che “No Kings” si avvarrà dell’appoggio, inconfessabile, anche dei neoconservatori repubblicani e degli apparati che fanno riferimento a questi e ai liberal dem, oltre che dei media mainstream.
Non è a tema l’immigrazione clandestina, che solo il casus belli che sta incendiando l’America, né l’autoritarismo di Trump, dissimile nella forma da quello di altri presidenti democratici e repubblicani, ma uguale nella sostanza.
In realtà, è preso di mira perché contrario all’intervento contro Iran, con cui anzi sta cercando un accordo, perché vuole chiudere la guerra ucraina e sta chiedendo con molta più forza di Biden, che si è limitato a vacui balbettii, la fine della guerra di Gaza (oggi l’indiscrezione, riportata anche dal Jerusalem Post, secondo la quale nella telefonata di lunedì con Netanyahu gli ha detto di farla finita). Infine, sta cercando un accordo globale con la Cina, con gli altri vogliono un confronto alzo zero (di oggi l’accordo sui dazi).
Le rivoluzioni colorate, o operazioni di regime-change, hanno preso di mira tutti, o quasi, i Paesi che avevano rapporti con la Russia – vedi i Paesi ex sovietici etc. – o considerati comunque come non allineati, dunque ostili, ai disegni liberal-neocon o delle autorità israeliane – vedi Libia, Siria, Iran etc. Trump ha il difetto di sommare ambedue le criticità, in particolare intrattenendo rapporti con Putin e le autorità iraniane.
C’è da chiedersi se l’emergenza sugli immigranti clandestini, che ha dato il via a tutto questo, non sia stata una trappola nella quale Trump è improvvidamente caduto. Se certo la questione era parte della sua agenda, è probabile che il modo con cui è stata affrontata la questione non sia alieno dalla volontà di innescare un incendio.
Una domanda, nulla più, che ci è sorta spontanea quando, dopo le proteste scoppiate a Los Angeles, ci è tornato alla memoria la recente visita in Israele di Kristie Noem, a capo dell’ICE (U.S. Immigration and Customs Enforcement), l’ufficio che si sta occupando del repulisti degli immigrati clandestini.
Due settimane fa, infatti, la Noem, legata in maniera profonda a Tel Aviv, come spiegava in un comunicato di solidarietà per il tragico attacco del 7 ottobre (che si concludeva ricordando le sue tante visite nel Paese), è sbarcata in Israele per manifestare ancora una volta il suo legame di sangue con esso.
Si trattava di sanare la frattura con gli Usa palesata dalla mancata visita di Trump a Tel Aviv nel recente tour mediorientale, e come tale è stata presentato la sua visita dalle autorità israeliane, come annotava il New York Times, che aggiungeva come, nell’occasione, avesse manifestato il suo “incrollabile sostegno al primo ministro [Netanyahu] e allo Stato di Israele”, aggiungendo il suo “forte apprezzamento” per come stava conducendo la guerra (cioè il genocidio dei palestinesi).
La Maidan in salsa americana necessitava di un casus belli e la Noem glielo ha fornito su un piatto d’argento, inviando i suoi uomini a ricercare i clandestini di Los Angeles in ogni angolo della città, con metodi che i perseguiti e alcuni comuni cittadini hanno etichettato legittimamente da “gestapo”.
Come ogni rivoluzione colorata, anche quella che si sta tentando negli States abbisogna di un volto che la incarni, di un eroe che ne sia il punto di riferimento. E il prescelto è l’improbabile governatore della California Gavin Newson, che alle scorse presidenziali aveva provato a correre come candidato del partito democratico, ma fu messo da parte dai guru dem perché più attaccabile della fatua Kamala Harris, la cui scarsa levatura intellettuale era peraltro perfetta per una presidenza eterodiretta (che avrebbe consentito di proseguire i fasti della precedente presidenza che ha visto l’eterodirezione del senescente Biden).
Fotogenico, l’improbabile conducator di Los Angeles ha visto aprirsi nuove prospettive, seppellendo nell’oblio pregressi incidenti di percorso, come l’ammissione pubblica di aver … la moglie del suo migliore amico, nonché capo della sua campagna elettorale per la carica di governatore. E la più recente figura barbina rimediata mentre la California veniva divorata dagli incendi, con Newson incapace di fare alcunché.
Tale fotogenico volto, che ha sfidato apertamente Trump ad arrestarlo, darà pubblica voce alla Maidan del 14 giugno. Vedremo se, come quella, il copione prevederà anche vittime sacrificali come avvenne in Ucraina (vedi il più che documentato articolo: “Il processo ucraino dimostra che il massacro di Maidan del 2014 è stato un’operazione sotto falsa bandiera”, pubblicato su Grayzone).
Perché il regime-change riesca non è necessario abbattere il tiranno. Basterà che muti l’orientamento: dia il via libera all’escalation in Ucraina o alle bombe sull’Iran. E tutti si stringeranno di nuovo a coorte, la rivolta sarà sedata e Trump sarà magnificato come un eroe nazionale. Trump reggerà alla tensione e alle lusinghe? La risposta nei prossimi giorni.
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