4 Ottobre 2018

Gli S-300 russi in Siria

Gli S-300 russi in Siria
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Gli S-300 russi sono arrivati in Siria. Non si tratta solo di una compravendita di armi, ma di un mutamento geopolitico di rilevanza primaria.

Gli S-300 e il sistema di difesa russo

Infatti, chiude i cieli siriani ai jet israeliani che fino ad alcuni giorni vi avevano libero accesso grazie a un accordo con Mosca, che si era dichiarata neutrale nella guerra ombra tra Israele e iraniani in Siria. E aveva promesso di non consegnare a Damasco il temibile sistema d’arma.

La svolta è avvenuta dopo l’abbattimento del velivolo spia russo ad opera della contraerea siriana che stava contrastando un attacco Israeliano (Piccolenote).

Mosca ha affermato che i jet di Tsahal si sono fatti colpevolmente scudo con il  velivolo russo, dinamica che le autorità israeliane hanno negato.

Una controversia ormai irrilevante, spiega Harel, dal momento che i russi sono rimasti sulle loro posizioni e si sono mossi di conseguenza.

E il sofisticato sistema antiaereo S-300 è arrivato in Siria, anche prima di quanto previsto dagli analisti israeliani.

Finora dalle parti di Israele l’annuncio della consegna degli S-300 aveva suscitato allarme, ma non più di tanto.

Politici e militari si erano affrettati a spiegare che, anche se più difficile, si poteva continuare a bombardare la Siria.

Ciò perché si riteneva che gli S-300 fossero permeabili, dal momento che erano già stati consegnati alla Grecia, quindi studiati e testati.

Il problema, come rileva Debkafile, che in un primo momento aveva ospitato un articolo di tale tenore, è che gli S-300 consegnati a Damasco sono stati modificati e resi più micidiali.

Non solo, Mosca ha integrato tali batterie anti-aeree con i più moderni S-400, stanziati in Siria a difesa della sue basi, e ai sistemi d’arma montati sulla flotta russa che da alcuni giorni batte le acque siriane.

Uno scudo protettivo che è addirittura integrato con il sistema di difesa nazionale russo C3, spiega ancora Debka, che comprende anche il deterrente nucleare.

Tanto che Harel spiega che il residuo ottimismo che ancora circola nel suo Paese è ora circoscritto agli ambiti dediti a incensare il premier Natanyahu.

Il senso di Netanyahu per il Libano

Insomma, è cambiato tutto. Il punto è che Tel Aviv ascrive una importanza vitale alle missioni in Siria, dato che gli consentono di arginare la linea geostrategica che unisce Teheran al Libano, la cosiddetta mezzaluna sciita.

Forse proprio questo cambiamento ha portato al recente attacco a Hezbollah da parte di Netanyahu, il quale ha accusato il movimento filo-iraniano di stipare missili nel cuore del Libano, alludendo a una possibile azione militare del suo Paese contro la minaccia.

Con tale dichiarazione Netanyahu ha inteso dare un segnale: Israele continuerà a portare avanti la sua azione di contrasto alla mezzaluna sciita, anche se sarà costretta a cambiare strategia e obbiettivi.

Al premier israeliano ha ribattuto Hezbollah, negando la veridicità delle accuse, ma soprattutto il ministro degli Esteri libanese Gebran Bassil, il quale ha dichiarato che Netanyahu sta cercando un pretesto per una nuova guerra contro il Libano.

Dichiarazione accompagnata da quella del presidente libanese Michel Aoun, il quale ha affermato che il Libano è pronto a far fronte a un’aggressione israeliana.

Affermazione che può sembrare banale, dal momento che è ovvio che un Paese attaccato si difenda, ma non lo è affatto.

Nell’ultimo conflitto, infatti, l’esercito israeliano combatté contro Hezbollah giovandosi della neutralità del governo di Beirut, che fece restare l’esercito nazionale nelle caserme.

Da qui l’importanza delle parole di Aoun, il quale ha voluto chiarire che un’eventuale attacco a Hezbollah, avrebbe comportato una guerra tra i due Stati.

Grande il nervosismo che in questi giorni serpeggia nella regione. Oggi il generale Sergei Kuralenko, vice comandante delle forze russe in Siria, ha dichiarato che il confine siro-israeliano, sostanzialmente la regione di Quneitra, può essere riaperto dopo anni di chiusura.

Un gesto distensivo. Non basta, certo, ma è un passo per tentare di stemperare la rischiosa tensione.

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