8 Novembre 2019

Gli Usa e il furto del petrolio siriano: una storia antica

Gli Usa e il furto del petrolio siriano: una storia antica
Tempo di lettura: 4 minuti

La retromarcia di Trump sulla Siria, non più un ritiro totale ma parziale, con truppe rimaste a presidio del petrolio, ha destato critiche.

Risibile la motivazione: impedire che l’Isis, risorgente, possa sfruttarlo ancora. Ma serve a eludere un nuovo passaggio al Congresso Usa che aveva dato il suo assenso all’intervento in Siria nel ristretto ambito di un’operazione di contrasto al Terrore.

I curdi e il petrolio di Damasco

Di fatto si tratta di un’occupazione militare, del tutto illegittima e predatoria. L’idea che a beneficiare della rendita del petrolio siriano possano essere i curdi che controllano il Nord-Est della Siria, circolata per eludere l’accusa di latrocinio, pone altre criticità.

Crea, infatti, dialettica tra Damasco, che rivuole il suo petrolio, e i curdi, proprio ora che questi ultimi, dopo l’annuncio del ritiro delle truppe Usa, hanno aperto al governo centrale.

Complica cioè la prospettiva di un dialogo tra le parti in vista di un’auspicabile riunificazione nazionale, unica prospettiva reale per porre fine alla destabilizzazione siriana.

Né c’è molto da fidarsi sul fatto che i curdi godrebbero effettivamente di una tale rendita, che dovrebbe essere liberamente elargita dalle compagnie petrolifere americane alle quali sarebbero affidati i pozzi…

Va notato che mentre media e politici americani hanno fatto fuoco e fiamme quando Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria, sono davvero poche le voci che si sono levate a denunciare questo furto legalizzato e l’indebita presenza di truppe di occupazione americane in un Paese straniero.

Allora le critiche avevano motivazioni umanitarie: Trump aveva abbandonato al suo destino i curdi, lasciandoli in balia dell’offensiva turca scatenata nel Nord-Est siriano.

Conclusa l’aggressione turca, grazie all’accordo tra Ankara e Mosca, le ragioni umanitarie di cui sopra erano state soddisfatte.

Non solo il petrolio

Ma restava l’altra obiezione, molto più forte: con il ritiro dalla Siria Trump smobilitava la presenza Usa in Medio oriente. Motivazione imperialista, in netto contrasto con le ragioni umanitarie di cui sopra.

Eppure nessuna denuncia da parte Usa di tale imperialismo, a parte voci isolate e flebili della sinistra democratica (Haaretz). Tant’è.

Gli Usa e il furto del petrolio siriano: una storia antica

Trump, abbiamo scritto in altra nota, ha dovuto cedere ai petrolieri Usa, ai quali, con l’abbandono del petrolio siriano, aveva lanciato un segnale allarmante anche su altri scenari. Sono grandi elettori e in vista delle ardue presidenziali vuol tenerli buoni.

Ma soprattutto ha soddisfatto le ragioni dei neocon sulla continuità di ingaggio in Siria. Al di là dello scopo dichiarato, le truppe americane non presidiano solo i pozzi petroliferi, ma perpetuano la presenza americana nel Paese.

Truppe di occupazione, ma anche forza motrice di una destabilizzazione permanente, che all’occorrenza può diventare testa di ponte per un intervento militare, ipotesi su cui i neocon non demordono (dopo le elezioni, con un altro presidente si riproporrebbe in tutta la sua forza).

I russi e il petrolio siriano

A denunciare l’illegittimità della presenza Usa anche i russi, che hanno pubblicato foto satellitari che immortalano autocisterne presso i pozzi petroliferi siriani al tempo in cui questi erano controllati dall’Isis (Sputnik).

Tali immagini proverebbero una connivenza tra americani e terroristi nello sfruttamento del petrolio, dal momento che che queste autocisterne circolavano liberamente in un territorio controllato all’intorno dagli Usa e dai loro alleati curdi.

Accusa ignorata in Occidente; evidente l’imbarazzo per immagini che interpellano. Sembra si sia ripetuto quanto avveniva al tempo in cui l’Isis aveva costituito il suo Califfato sull’area di confine tra Siria e Iraq.

Al tempo, i terroristi misero in commercio milioni di barili di petrolio. Un traffico rivelato dalla Russia dopo il suo intervenuto in Siria, con fotografie che immortalavano gli interminabili convogli di autocisterne piene di petrolio insanguinato dirette in territorio turco.

Convogli “sfuggiti” per anni ai satelliti, ai droni e all’aviazione Usa, che pure monitoravano al centimetro l’area…

Una storia antica

Il National Interest pubblica uno dei pochi articoli critici sulla permanenza americana in Siria. Critica basata non tanto su ragioni umanitarie o legali, quanto perché ormai l’America, primo esportatore di petrolio al mondo, non ha più bisogno di quello del Medio oriente.

Non è nell’interesse Usa, scrive Daniel L. Davis, difendere Riad o altri Paesi mediorientali, stante che i loro grandi acquirenti di greggio sono ormai Cina e India. Peraltro trattenere truppe in Medio oriente mette gli Statti Uniti a rischio di impelagarsi in una nuova, controproducente, guerra mediorientale.

Ragioni di interesse, dunque, che alla lunga potrebbero prevalere su altre e più oscure. Interessanti anche le dichiarazioni di Brett McGurk, ex inviato presidenziale per la lotta all’Isis, secondo il quale non ci sono basi legali per lo sfruttamento del petrolio siriano (Axios).

Ancora più interessante un’altra sua considerazione: “Non vogliamo che queste risorse finiscano nelle mani di terroristi o di altri [Damasco e Mosca, ndr.], ma forse Trump avrebbe dovuto pensarci meglio prima di prendere una decisione che ha svelato uno scenario che finora aveva funzionato relativamente bene”,

Insomma, Trump ha solo evidenziato quel che prima, anche sotto Obama, era celato e taciuto. L’indebita occupazione della Siria e il furto del suo petrolio non sono solo un controverso presente, appartengono al tormentato passato di questa sporca guerra siriana.